Mi immedesimo in Filippo.
Ero appena uscita dal mio ufficio,faceva molto freddo, mi dirigevo come al solito di corsa verso la metropolitana per arrivare al supermercato prima della chiusura visto che dovevo fare la spesa per la cena.
Come al solito era orario di punta e tutti si spintonavano senza nemmeno chiedere scusa;anchio stavo correndo ed è stato proprio all’ultimo scalino che i nostri sguardi si sono incontrati.
Era una ragazza giovane,avrà avuto circa vent’anni,aveva in braccio un bambino molto piccolo,sei sette mesi forse,lo teneva stretto per riscaldarlo,nei suoi occhi ho letto paura,insicurezza e una profonda tristezza.
Non ce l’ho fatta a correre via, mi sono seduta vicino a lei e ho cercato di parlarle. Non ci capivamo molto bene si vede che era in Italia da poco, ma ciò di cui cui aveva bisognosi capiva perfettamente, aveva fame e aveva freddo,le ho offerto il mio cappello e la mia sciarpa e le ho dato un po‘ di soldi per poter mangiare e mi sono fatta dire dove la potevo trovare poichè avrei fatto di tutto per trovare un posto sicuro per lei e per il suo bambino.
Il giorno dopo in ufficio, mi sono collegata ad Internet per trovare tutte le associazioni che aiutavano persone straniere nel nostro paese.
Dopo un pò di ricerca ho trovato un posto che assisteva le mamme straniere e cosi Shmira, questo è il suo nome, adesso è serena,si sente protetta e può pensare al futuro del suo bambino.
Mi sono immedesimata in Giulietta.
Lavoro come commessa in un negozio di vestiti, non mi pagano molto, ma è sufficiente per sopravvivere. Per andare a lavoro prendo sempre la metropolitana, come oggi.
Scesi alla solita fermata, poi, non avendo fatto colazione, mi fermai ai distributori di merendine e mi accorsi che lì dietro, un’uomo stava picchiando una donna di colore, pure incinta. Stavo per intervenire, ero incerta e indecisa. Avevo paura che quell’uomo avesse potuto farmi del male. Era presto, non c’era molta gente a cui chiedere aiuto e anche se cen’era non mi avrebbero dato retta. Allora corse dal controllore seduto nella cabina vicino a dove si timbrano i biglietti. Quando arrivai, incominciai a sbattere le mani sul vetro e ad urlare. Il signore si girò e mi guardò male, poi torno a godersi la sua colazione, mentre guardava i cartoni animati. Non aveva molto tempo, doveva fare in fretta. Tornò dalla donna e l’uomo non c’era più. Si abbassò e le domandò: – Serve aiuto?Si sente bene?-. Ma dalla bocca dell’altra non uscì un suono. Dopo un po’ dalla stessa bocca, che prima era chiusa, uscì un piccolo sospiro e dopo ancora un suono. Giulietta si abbassò ancora di più e la donna ripeté:- Aiutami-.L’aiutò ad alzarsi e durante il tragitto parlarono molto, Giulietta voleva capire cosa le era successo. La sua mente però le diceva tante cose, tutte diverse, che la facevano andare in confusione:- Sarebbe stato meglio se avessi fatto finta di niente, oppure no?, no no!, me ne sarei pentita per il resto della vita, mi sarei portata dietro un peso. Ma appena lo dirò alle mie colleghe, loro mi rideranno dietro?, mi staranno lontani?, penseranno che sia una pazza!?. Non so proprio cosa fare. Non posso abbandonarla sarà meglio accudirla come figlia e lei me ne sarà grata per sempre.
Pescavo con la barca di mio nonno quando un urlo lacerante squarciò il silenzio, spaventato mi guardai in torno, e sembrava che fra me e l’orizzonte non ci fossero altro che onde, però poi emerse un asse di legno, probabilmente proveniente da una barca, portava incise scritte in un alfabeto a me sconosciuto.
In breve riaffiorarono diversi altri pezzi di scafo ed in mezzo a loro un cadavere, galleggiava macabramente tra i resti della barca, gli occhi socchiusi lasciarono intravedere il segno di tutte le sofferenze da lui patite, quando lo vidi non riuscii a trattenere un urlo di terrore.
Poi mi accorsi di un altro corpo, però sembrava si muovesse, movimenti quasi impercettibili che però io notai, così la paura svanì e mi feci coraggio, mi tuffai in mare, e dopo qualche bracciata raggiunsi l’uomo e riuscii a portarlo sulla barca.
Però l’uomo aveva smesso di muoversi, provai a farlo rinvenire premendo sul petto per fargli sputare l’acqua, però fu un vano tentativo.
Quando capii che per lui era finita, che si era spento proprio davanti ai miei occhi iniziai a sentire freddo, non fisicamente, ma dentro, iniziai a pensare che era stata colpa mia, e mi abbandonai alle lacrime, pur sapendo che non avevo mai visto quell’uomo ne sapevo come si chiamava sentivo che qualcosa dentro di me si era spento come quell’uomo poco prima.
Quando mi ripresi mi accorsi che il petto dell’uomo si muoveva appena e dopo un po’ aprii gli occhi e parlo, in una lingua che non conoscevo, però non mi importava, perché sapevo che mi stava ringraziando.
Stavo uscendo con il mio motorino nuovo di zecca quando incontrai Alex e la sua banda, che stavano picchiando un bambino nero, che stava vicino ad un negozio a chiedere l’elemosina.
Lo insultavano per il colore della sua pelle, ma soprattutto gli chiedevano che fine avesse fatto sua madre, con quel loro ghigno malefico sapendo benissimo, che se non si trovava con lui non avrà fatto una bella fine, il bello è che poi nel vedere il bambino piangere si divertivano ancora di più.
Io proseguii senza neanche fermarmi, si sa che chi aiuta un nero finisce nei guai e viene considerato uno sfigato.
Tornato a casa accesi il televisori e mi misi ad ascoltare le notizie:
Barca di clandestini arrivata sull’isola, con più di cento morti.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo alla mia pancia, perchè cominciò a darmi fastidio come il solletico però spiacevole, era il senso di colpa che si stava impadronendo di me facendomi cambiare idea, per il fatto di non aver aiutato quel bambino che, quasi sicuramente aveva perso la madre.
Andai a letto, quando la pancia cominciò a darmi un fastidio insopportabile, dovevo aiutare quel bambino a tutti i costi, presi la mia giacca, le chiavi del motorino e andai al negozio.
Il bambino stava dormendo s’un giornale, lo presi in braccio e lo portai a casa, stando attento che mia madre non mi sentisse ne vedesse.
Ero sollevato nel sapere che il bambino fosse al sicuro, ma anche impaurito per il fatto che non dovrei aiutare uno “diverso”, avrei dovuto denunciarlo alla polizia che lo avrebbe riportato al suo paese.
Quell’idea mi lasciò proprio quando il bambino aprì gli occhi un po’ perso chiedendosi dove si stesse trovando.
gli chiesi come mai era venuto qui e qual’era il suo nome, ma a a quanto sembrava non capiva molto bene l’italiano, solo le parole essenziali come mamma, papà e purtroppo anche morte.
Riuscii a comunicare con lui attraverso i disegni, lui disegnò una casa con lui e sua madre, poi una barca in mezzo al mare e in fine sua mamma morta e lui in lacrime, con una cartina in mano senza sapere dove andare.
Il bambino tirò fuori la cartina dalla tasca, la presi e osservai che la madre non voleva finire in quest’isola, ma voleva andare a Torino.
Feci un disegno al bambino con l’intento di capire chi ci fosse il quella città oppure se volevano andarci per ricominciare una vita nuova, poi capii tutto.
A Torino si trovava suo fratello che aveva promesso di ospitarli lì.
Avevo preso la mia decisione, la mia coscienza non sarebbe mai stata in pace se non lo avessi portato a Torino.
Questo sito utilizza cookies tecnici e cookies di terze parti per ottimizzare la navigazione e per rendere possibile il funzionamento della maggior parte delle pagine.
Per maggiori informazioni leggi la cookie policy. Proseguendo nella navigazione, acconsenti all'utilizzo dei cookie.Ok, ho capito!
Mi immedesimo in Filippo.
Ero appena uscita dal mio ufficio,faceva molto freddo, mi dirigevo come al solito di corsa verso la metropolitana per arrivare al supermercato prima della chiusura visto che dovevo fare la spesa per la cena.
Come al solito era orario di punta e tutti si spintonavano senza nemmeno chiedere scusa;anchio stavo correndo ed è stato proprio all’ultimo scalino che i nostri sguardi si sono incontrati.
Era una ragazza giovane,avrà avuto circa vent’anni,aveva in braccio un bambino molto piccolo,sei sette mesi forse,lo teneva stretto per riscaldarlo,nei suoi occhi ho letto paura,insicurezza e una profonda tristezza.
Non ce l’ho fatta a correre via, mi sono seduta vicino a lei e ho cercato di parlarle. Non ci capivamo molto bene si vede che era in Italia da poco, ma ciò di cui cui aveva bisognosi capiva perfettamente, aveva fame e aveva freddo,le ho offerto il mio cappello e la mia sciarpa e le ho dato un po‘ di soldi per poter mangiare e mi sono fatta dire dove la potevo trovare poichè avrei fatto di tutto per trovare un posto sicuro per lei e per il suo bambino.
Il giorno dopo in ufficio, mi sono collegata ad Internet per trovare tutte le associazioni che aiutavano persone straniere nel nostro paese.
Dopo un pò di ricerca ho trovato un posto che assisteva le mamme straniere e cosi Shmira, questo è il suo nome, adesso è serena,si sente protetta e può pensare al futuro del suo bambino.
Brava!
Mi sono immedesimata in Giulietta.
Lavoro come commessa in un negozio di vestiti, non mi pagano molto, ma è sufficiente per sopravvivere. Per andare a lavoro prendo sempre la metropolitana, come oggi.
Scesi alla solita fermata, poi, non avendo fatto colazione, mi fermai ai distributori di merendine e mi accorsi che lì dietro, un’uomo stava picchiando una donna di colore, pure incinta. Stavo per intervenire, ero incerta e indecisa. Avevo paura che quell’uomo avesse potuto farmi del male. Era presto, non c’era molta gente a cui chiedere aiuto e anche se cen’era non mi avrebbero dato retta. Allora corse dal controllore seduto nella cabina vicino a dove si timbrano i biglietti. Quando arrivai, incominciai a sbattere le mani sul vetro e ad urlare. Il signore si girò e mi guardò male, poi torno a godersi la sua colazione, mentre guardava i cartoni animati. Non aveva molto tempo, doveva fare in fretta. Tornò dalla donna e l’uomo non c’era più. Si abbassò e le domandò: – Serve aiuto?Si sente bene?-. Ma dalla bocca dell’altra non uscì un suono. Dopo un po’ dalla stessa bocca, che prima era chiusa, uscì un piccolo sospiro e dopo ancora un suono. Giulietta si abbassò ancora di più e la donna ripeté:- Aiutami-.L’aiutò ad alzarsi e durante il tragitto parlarono molto, Giulietta voleva capire cosa le era successo. La sua mente però le diceva tante cose, tutte diverse, che la facevano andare in confusione:- Sarebbe stato meglio se avessi fatto finta di niente, oppure no?, no no!, me ne sarei pentita per il resto della vita, mi sarei portata dietro un peso. Ma appena lo dirò alle mie colleghe, loro mi rideranno dietro?, mi staranno lontani?, penseranno che sia una pazza!?. Non so proprio cosa fare. Non posso abbandonarla sarà meglio accudirla come figlia e lei me ne sarà grata per sempre.
Prof il mio lo ha lei appena me lo ridà, lo metto subito sul blog! 😀
Pescavo con la barca di mio nonno quando un urlo lacerante squarciò il silenzio, spaventato mi guardai in torno, e sembrava che fra me e l’orizzonte non ci fossero altro che onde, però poi emerse un asse di legno, probabilmente proveniente da una barca, portava incise scritte in un alfabeto a me sconosciuto.
In breve riaffiorarono diversi altri pezzi di scafo ed in mezzo a loro un cadavere, galleggiava macabramente tra i resti della barca, gli occhi socchiusi lasciarono intravedere il segno di tutte le sofferenze da lui patite, quando lo vidi non riuscii a trattenere un urlo di terrore.
Poi mi accorsi di un altro corpo, però sembrava si muovesse, movimenti quasi impercettibili che però io notai, così la paura svanì e mi feci coraggio, mi tuffai in mare, e dopo qualche bracciata raggiunsi l’uomo e riuscii a portarlo sulla barca.
Però l’uomo aveva smesso di muoversi, provai a farlo rinvenire premendo sul petto per fargli sputare l’acqua, però fu un vano tentativo.
Quando capii che per lui era finita, che si era spento proprio davanti ai miei occhi iniziai a sentire freddo, non fisicamente, ma dentro, iniziai a pensare che era stata colpa mia, e mi abbandonai alle lacrime, pur sapendo che non avevo mai visto quell’uomo ne sapevo come si chiamava sentivo che qualcosa dentro di me si era spento come quell’uomo poco prima.
Quando mi ripresi mi accorsi che il petto dell’uomo si muoveva appena e dopo un po’ aprii gli occhi e parlo, in una lingua che non conoscevo, però non mi importava, perché sapevo che mi stava ringraziando.
Stavo uscendo con il mio motorino nuovo di zecca quando incontrai Alex e la sua banda, che stavano picchiando un bambino nero, che stava vicino ad un negozio a chiedere l’elemosina.
Lo insultavano per il colore della sua pelle, ma soprattutto gli chiedevano che fine avesse fatto sua madre, con quel loro ghigno malefico sapendo benissimo, che se non si trovava con lui non avrà fatto una bella fine, il bello è che poi nel vedere il bambino piangere si divertivano ancora di più.
Io proseguii senza neanche fermarmi, si sa che chi aiuta un nero finisce nei guai e viene considerato uno sfigato.
Tornato a casa accesi il televisori e mi misi ad ascoltare le notizie:
Barca di clandestini arrivata sull’isola, con più di cento morti.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo alla mia pancia, perchè cominciò a darmi fastidio come il solletico però spiacevole, era il senso di colpa che si stava impadronendo di me facendomi cambiare idea, per il fatto di non aver aiutato quel bambino che, quasi sicuramente aveva perso la madre.
Andai a letto, quando la pancia cominciò a darmi un fastidio insopportabile, dovevo aiutare quel bambino a tutti i costi, presi la mia giacca, le chiavi del motorino e andai al negozio.
Il bambino stava dormendo s’un giornale, lo presi in braccio e lo portai a casa, stando attento che mia madre non mi sentisse ne vedesse.
Ero sollevato nel sapere che il bambino fosse al sicuro, ma anche impaurito per il fatto che non dovrei aiutare uno “diverso”, avrei dovuto denunciarlo alla polizia che lo avrebbe riportato al suo paese.
Quell’idea mi lasciò proprio quando il bambino aprì gli occhi un po’ perso chiedendosi dove si stesse trovando.
gli chiesi come mai era venuto qui e qual’era il suo nome, ma a a quanto sembrava non capiva molto bene l’italiano, solo le parole essenziali come mamma, papà e purtroppo anche morte.
Riuscii a comunicare con lui attraverso i disegni, lui disegnò una casa con lui e sua madre, poi una barca in mezzo al mare e in fine sua mamma morta e lui in lacrime, con una cartina in mano senza sapere dove andare.
Il bambino tirò fuori la cartina dalla tasca, la presi e osservai che la madre non voleva finire in quest’isola, ma voleva andare a Torino.
Feci un disegno al bambino con l’intento di capire chi ci fosse il quella città oppure se volevano andarci per ricominciare una vita nuova, poi capii tutto.
A Torino si trovava suo fratello che aveva promesso di ospitarli lì.
Avevo preso la mia decisione, la mia coscienza non sarebbe mai stata in pace se non lo avessi portato a Torino.