Il linguaggio poetico è qualcosa che solo apparentemente è comune, ma che invece deve avere qualcosa in più! La parola che dice qualcosa di profondo e che non sempre si riesce a capire direttamente e che ha bisogno di uno spazio diverso da quello del racconto in prosa.
Secondo me, Montale assomiglia a Ungaretti sotto certi aspetti, perché entrambi sono due persone semplice, molto calate nel loro tempo e perché ambedue sono considerati dei poeti ermetici.
Mi ha molto colpito la sua frase in cui dice: “ La poesia è verticale, la prosa è orizzontale” con questo vuole intendere che mentre la prosa ha una sua continuità, la poesia lavora su parole, immagini precise, le quali devono essere comprese dal lettore.
Dice anche, che se pur molto diverse tra loro si possno intrecciare nella vita.
Un’altra cosa, che mi ha colpito è quando ha detto, che tutti si servono del linguaggio di tutti, ma che nella poesia deve esserlo solo apparentemente, infatti, il linguaggio poetico si trova intorno, l’importante è andarlo a cercare.
Montale però assomiglia, anche a Calvino perché tutti e due nei loro testi descrivono gli oggetti, le persone e i luoghi molto accuratamente e con molti particolari, l’unica differenza è che Calvino al posto della poesia utilizza la prosa.
Lui racconta soprattutto, della difficoltà della vita, ma senza essere pessimista come Leopardi.
Montale nelle sue poesie in più utilizza sempre l’elemento della luce, il quale porta l’idea della speranza e della possibilità.
Montale è molto simile a Ungaretti per le sue idee perché entrambi rifiutano di adeguarsi ai movimenti imposti dalle avanguardie ispirandosi all’epoca ottocentesca, ad esempio, Ungaretti prende come mentore Leopardi facendo del suo pensiero un vero e proprio tesoro.
Montale a differenza di Ungaretti non aderisce al fascismo firmando il manifesto degli intellettuali antifascisti, invece Ungaretti firmò il manifesto degli intellettuali fascisti aderendo così all’avvento di Mussolini, anche se lui aderì non prese parte all’avanguardia di stato che era il futurismo scrivendo poesie riflessive, piatte senza segno di dinamicità, contenenti solo un pensiero, scavato e tirato fuori da chissà quale mente super-geniale e messo dentro alla poesia in forma astratta facendo indovinare al lettore di cosa si trattasse. Montale fece la stessa cosa, scrisse poesie riflessive bellissime e con tematiche fenomenali e singolari ed è, secondo me, di gran lunga migliore di Ungaretti nell’introdurre temi, però una cosa che mi piace molto di Ungaretti è la poesia “I soldati” perché ha ricondotto attraverso un’immagine tranquilla, quieta la distruzione, la rovina del mondo; ma mi sarei appassionato di più a loro se fossero stati parte dell’800 perché il pensiero, infatti, è preso da quell’epoca e avrei capito meglio quello di cui volevano parlare perché le ideologie erano le stesse e si sarebbe capito di più, infatti usciti dal movimento culturale futurista e incontrato Ungaretti non ho capito più nulla perché ero rimasto sballato dal movimento, i suoni, le immagini di quell’avanguardia ed ero rimasto affascinato, è come mettere il ketchup sul gelato, entrambi sono buoni ma uniti fanno venire il mal di pancia.
Mi piacciono molto le sue parole e le sue idee ma le trovo un po’ banali perché sono inadeguati al tipo di movimenti culturali dell’epoca e facendo così si rischia di rimanere attaccati al passato non facendo più avanzare il mondo, farlo rivoluzionare. Facendo cambiare le ideologie si avrà un bagaglio culturale immenso di temi e ideologie e così saremo consci e avremo più scelta di cosa condividere, approvare; è come un anziano signore che trovandoti per strada ti dice:” Noi quando avevamo la tua età non avevamo tutti questi strumenti o questi apparecchi, infatti eravamo più svegli e andavamo meglio a scuola”, tutto ciò non ha senso, il mondo va avanti e con sé va avanti la tecnologia e ci si bisogna adeguare, anche se una persona è contro e così avrebbero dovuto fare Montale e Ungaretti, però devo dire che hanno fatto un po’ bene
perché hanno portato nuovi strumenti su cui discutere e hanno fatto una cosa fondamentale: credere in loro stessi portando avanti i loro principi e i loro valori non adeguandosi agli altri, sono stati anticonformisti.
“Dovrebbe servirsi del linguaggio di tutti il poeta, ma tutti usano il linguaggio di tutti” questa è la frase che mi ha colpito molto che dice Eugenio Montale, come se volesse dire che ormai il poeta non ha più un suo linguaggio specifico e usa quello “comune”.
“Allora qual’è lo specifico della poesia?” dicendo ciò dice che il poeta nelle sue opere usa il linguaggio di tutti, ma affinché il risultato venga bene al suo interno deve mettere qualcosa di più, qualche cosa d’altro che stia al di sopra, al di sotto, ovunque, ma che miri al contenuto.
Montale dice la prosa ha una sua musicalità orizzontale, ha bisogno di spazio, perché è caratterizzata da parole che descrivono un’azione che nella poesia verrebbe descritta con una sola parola.
Nella prosa il messaggio è evidente e si capisce, mentre nella poesia lo si deve cercare.
In questo video Montale fa un affermazione sensata ovvero dice che la poesia deve trasmettere delle emozioni in quel determinato momento, più è breve e più trasmette.
Le emozioni dato che devono trasmettere qualcosa di importante devono essere trasmesse in poco tempo.
In questo video mi colpiscono due cose che dice Montale.
La prima è la divisione tra prosa e poesia.
La prosa per un pubblico diverso da quello della poesia è orizzontale, una musica scritta in modo orizzontale perchè deve avere spazio e lo richiede.
Una prosa usa una moltitudine di parole per descrivere un’azione che in una poesia verrebbe descritta con una sola parola.
La parola deve essere precisa, è come se si dovesse trovare a suo agio su quel foglio e in quella posizione.
Nella prosa il messaggio si capisce al volo mentre nella poesia è nascosto e noi dobbiamo coglierlo, afferrarlo al volo prima che esso ci scappi.
Questa parola fa parte del linguaggio di tutti ma il poeta deve essere in grado di mutarlo di renderlo apparentemente di tutti ma aggiungendo un elemento in più.
Non importa che sia avanti, dietro a destra o a sinistra l’importante è il contenuto.
Lui un poeta ermetico ad un certo punto si stufa di essere etichettato come si fa ad un alimento quando deve essere esposto in un negozio. Posso essere definito ermetico ma faccio poesia perchè ho qualcosa da dire, da comunicare agli altri.
Mi colpisce anche la scelta del nome della sua raccolta, Ossi di Seppia, perchè è abbastanza banale ma non comune.
A queste due parole, banale e non comune, non ci avevo mai pensato come opposti.