Scegliete una popolazione di cui conoscete pochi aspetti o anche solo il nome…

Sceglietene una che vi incuriosisca, di cui magari avete solo sentito parlare…

Effettuate una ricerca utilizzando libri (ad es. anche il libro di geografia, le enciclopedie, ecc), riviste (National Geographic, Internazionale, Focus, ecc.), internet (siti, video, documentari, ecc.) e raccogliete le informazioni che riguardano: dove vivono, gli usi, i riti tradizionali, l’abbigliamento, modi di decorarsi, ecc. …

Scrivete un testo per “raccontare” le caratteristiche scoperte. Può essere un testo informativo, una descrizione, un racconto, ecc.

Se trovate link interessanti copiateli e inseriteli nel vostro testo.

8 Commenti a “Popoli sconosciuti”

  • Francesca scrive:

    I popoli sconosciuti.
    Circa 100 tribù non hanno ancora avuto alcun contatto con il resto del Mondo e vivono in costante fuga.
    Tre anni fa in Rondonia, regione dell’Amazzonia brasiliana al confine con Perù e Bolivia, ci furono due funzionari governativi a vedere l’ultimo appartenente alla tribù dei Tumaru. Se lo ricordano bene, visto che puntò contro di loro il suo arco, da non più di dieci metri, prima di fuggire. Di lui non si è più saputo nulla.
    Etnie sconosciute nel mondo
    Nelle provincie cinesi del Fujian e Guizhou ci sono gli Hakka, che vivono in enormi edifici collettivi circolari di terra battuta, e i Miao, le cui donne indossano abiti tradizionali e complessi copricapi ricoperti da ornamenti d’argento.
    In Birmania, le popolazioni del Triangolo d’Oro e quelle del lago Inle, vivono in villaggi e coltivano orti galleggianti. Nel Bangladesh, ignorato dal turismo tradizionale, tra le montagne al confine con la Birmania si possono visitare i villaggi delle popolazioni Charkma e Bhom, di origine tibeto-birmana, le cui donne indossano abiti piuttosto vistosi.
    Per l’Africa le foreste pluviali di sud-est del Cameroun, dove vivono i gorilla di pianura, ospitano i pigmei Ba Aka, una delle comunità più antiche del continente. Lo sconosciuto arcipelago delle Bijagos, al largo della Guinea Bissau, oltre ad ospitare i rarissimi ippopotami marini offre popolazioni isolate che praticano riti ancestrali quali l’iniziazione, il culto degli spiriti protettori e danze con maschere zoomorfe. Nei villaggi fortificati di fango sulle montagne di Togo e Benin vivono i Tamberna ed i Somba, popolazioni che cacciano ancora con arco e frecce, mentre la gran parte della popolazione animista dei due paesi pratica il vudu, una religione che permea ogni momento della vita dei credenti. In Burkina Faso si incontrano i Garunsi, etnia di artisti che concepiscono le abitazioni come monumenti alla fantasia, con architetture in fango di raffinata bellezza e grandi affreschi murali, mentre i Lobi sono famosi per le loro ricercate sculture in legno.
    Il sud dell’Etiopia ospita, nella valle del fiume Omo, un concentrato delle popolazioni più primitive del continente, pastori molti dei quasi vivono completamente nudi con il corpo ricoperto di cenere, mentre le donne Mursi hanno la bocca deformata per la presenza di piattelli labiali. Dove l’isolamento raggiunge il massimo è certamente nella regione desertica attorno al lago Turkana, tra il nord-ovest del Kenya e il Sud Sudan, stato di nuova formazione, dove vivono le selvagge popolazioni di pastori Turkana e quelle sudanesi dei Toposa e degli Jie, per i quali decenni di guerra hanno consentito di mantenere integri i loro tradizionali costumi ed a continuare a cibarsi unicamente del proprio bestiame; a causa delle condizioni ambientali per visitarli occorre allestire una vera spedizione antropologica
    Link dove potete trovare molte cose interessanti sui popoli sconosciuti:
    Corriere della sera: http://www.corriere.it/cronache/09_febbraio_23/indios-rodi_8f1891fc-01bb-11de-91dc-00144f02aabc.shtml

    Survival – Il movimento per i popoli indigeni: http://www.survivalinternational.org/popoli/incontattati-brasile/non-sono-sconosciuti

  • Federico S. scrive:

    Ricerca sul popolo della Papua Nuova Guinea

    La Papua Nuova Guinea (detta anche Papuasia) è uno stato indipendente dell’Oceania. Confina solo a ovest con l’Indonesia. È bagnata dall’oceano Pacifico.
    Il paese è governato da una monarchia parlamentare e dipende dall’ Inghilterra. I guineiani sono divisi in clan nei quali si può entrare solo per legame sanguigno o matrimonio.

    Etnie
    L’84% della popolazione è Papua, il 13% di origine europea, l’1% di origine indonesiana, il 2% di altra origine.
    In Papua Nuova Guinea esistono centinaia di gruppi etnici indigeni: il più numeroso è rappresentato dai papuani, i cui antenati giunsero in Nuova Guinea decine di migliaia di anni fa. La restante parte della popolazione è composta da austronesiani, i cui antenati giunsero nella regione meno di 4.000 anni fa. Vi sono, infine, consistenti minoranze di cinesi, europei, australiani, filippini, indiani e cingalesi. La popolazione è prevalentemente rurale e giovane: l’84% degli abitanti abita nelle campagne e il 40% ha meno di quindici anni.
    La differenza tra i papuani e i guineani è generalmente nei capelli. Entrambe le popolazioni hanno i capelli ricci: i papuani hanno i capelli ricci piccoli mentre i guineani hanno ricci larghi.

    Religione
    La loro religione è il cristianesimo perchè sulla costituzione c’è scritto che la Papua Nuova Guinea è un paese cristiano anche se molti di loro credono in religioni animiste.
    Il 30% della popolazione pratica culti tradizionali, per lo più combinandoli con il Cristianesimo. Il restante 69% degli abitanti dichiarano di praticare esclusivamente la religione cristiana. Il 36% della popolazione appartiene alla Chiesa cattolica, il resto è composto da diversi gruppi anglicani. Lo 0,8-1% della popolazione è islamica: si tratta prevalentemente di immigrati dall’Indonesia. Sono presenti anche 4014 testimoni di Geova.

    Lingua
    Si utilizzano più di 700 lingue ma la lingua ufficiale è il pidgin (deriva dallo storpiamento della parola inglese business) che è un incrocio tra la lingua inglese e la lingua locale. Viene usata per pregare, per comprare, per contrattare. Questa lingua non è ancora completa e vengono “create” le parole man mano che servono.
    In Papua Nuova Guinea vi sono tre lingue ufficiali (inglese, tok pisin e hiri motu) a cui si aggiungono circa 850 lingue locali Questa incredibile varietà linguistica fa sì che nel paese si concentri circa il 10% delle lingue parlate nel mondo.
    A costituire una base linguistica comune si sta affermando a partire dalla parte settentrionale del paese (“Nuova Guinea”) una lingua creola, il tok pisin(pidgin in inglese), è una vera e propria lingua franca che si sta affermando ed è usata ora anche su molti giornali e persino nei dibattiti parlamentari.

    Usi e costumi
    I guineiani si vestono solo con una gonnellina d ‘erba per proteggere le parti intime. I bambini vanno in giro nudi fino ai 15 anni. Si vestono solo per le feste con pitture o tatuaggi, con legni, ossi, pietre. In queste feste ci sono balli e canti. Si addobbano anche per pregare, per i matrimoni o funerali.
    Le loro tradizioni nelle feste sono quelle di cantare, di raccontarsi storie, saltare nel fuoco a piedi nudi e mangiare tutti insieme per tutta la notte.

    La Papua nuova Guinea è un paese che ha molti problemi: è un paese sfruttato dagli stranieri, con un’economia povera, l’assistenza alle persone è scarsa, l’analfabetismo colpisce il 47,3% della popolazione.

  • Vittory01 scrive:

    I Jarawa
    Esistono molte tribù diverse nel mondo ma io ho deciso di raccontare qualcosa sui Jarawa.
    Gli Jarawa fanno parte dei circa 95 milioni di Indigeni dell’India e sono anche uno dei popoli indigeni maggiormente minacciati del paese. Gli Jarawa, che nella loro lingua si chiamano Ya-eng-nga, vivono maggiormente nella parte occidentale dell’arcipelago delle Andamane, sulle Middle Andaman Island e le South Andaman Island. Le Andamane sono un gruppo di 204 isole nel mare delle Andamane.
    Gli Jarawa sono di origine “Negrito”, le popolazioni di questa origine hanno alcune caratteristiche fisiche in comune, come la statura bassa e robusta, la pelle molto scura e i capelli crespi.
    Oggi, i circa 400 membri della tribù nomade degli Jarawa vivono in gruppi di 40-50 persone all’interno delle chadha, le loro case. Come la maggior parte dei popoli tribali che vivono in modo autosufficiente nelle terre ancestrali(antiche), gli Jarawa prosperano e il loro numero continua a crescere. Gli uomini cacciano maiali selvatici e tartarughe, pescano nella barriera corallina con l’aiuto di arco e frecce in cerca di granchi e pesci. Le donne, invece, raccolgono miele, radici, tuberi e bacche nella foresta. Il loro arco è di chooi, un legno che non cresce nel territorio degli jarawa. Per trovarlo, la tribù compie un lungo viaggio fino all’Isola di Baratang. Durante la raccolta del miele questa popolazione intona canzoni per esprimere la sua felicità. Per proteggersi dalle api mettono in bocca una linfa che masticano e quando delle api si avvicinano loro gli e la spruzzano addosso. Gli Jarawa conoscono 150 piante e 350 specie di animali diversi.

    Sugli usi e costumi di questa popolazione non ho trovato molto a parte qualcosa su come si procurano il cibo, ma ho visto su internet che in molti siti si parla di “safari umano” ma, in realtà non ho ben capito cosa significa e non l’ho scritto anche per quello. Prof ma lei sa cosa sono questi “safari umani”?
    Vitto <3

  • Glo01 scrive:

    Io ho fatto una ricerca sui Sami.
    I Sami sono una popolazione indigena delle terre a nord del Circolo Polare Artico, che da millenni alleva le renne nel rispetto dell’ambiente. 

    Anticamente erano chiamati “lapponi”, che in Finlandia significava una persona che praticava l’allevamento di renne, la pesca e la caccia e spesso sono confusi con gli abitanti della provincia della Lapponia non facenti parte della loro etnia. I Sami infatti hanno la propria storia, cultura ed un’identità veramente molto spiccata. In tempi  remoti erano dediti alla caccia delle renne, poi iniziarono ad allevarle diventando questa la loro fonte di cibo, latte, pelli per gli abiti, per le loro case, ossa e corna per fabbricare utensili e strumenti di caccia e lavoro. Erano nomadi e abitavano in capanne chiamate kota, fatte di legno e coperte di pelli (come quelle degli indiani d’America) oppure in tende che avevano il nome di Layvu e l’allevamento li portava a trascorrere l’inverno in terre completamente in pianura, mentre nei mesi più caldi si rifugiavano nei pascoli montani. La slitta trainata da renne era l’unico mezzo di trasporto a loro congeniale era anche se, da un reperto del 1500 a.C. si sa per certo che utilizzassero anche una sorta di sci. La loro tradizionale forma religiosa era quella dello sciamanesimo e adoravano le divinità legate al culto della natura, le principali delle quali erano la Madre Terra e il Dio del Tuono. I Lapponi di montagna sono rimasti nomadi, trascorrendo l’estate sui pascoli montani e compiendo lunghe migrazioni al giungere dell’inverno, per trasferirsi in pianura, mentre i Lapponi della foresta, che vivono in Finlandia, sono semi-nomadi e allevano le renne nel folto delle foreste di conifere, compiendo brevi migrazioni da un pascolo all’altro nei cambi di stagione. I Sami hanno un metodo di “dialogo” con le renne nel loro rispetto: battendo un bastone contro un tronco, le chiamano per venire a mangiare ed esse così sanno che possono avvicinarsi. La marchiatura delle renne è un rito sacro che i Sami eseguono, senza traumi e naturale, grazie alle zanzare che spingono le mandrie a radunarsi nelle zone più in alto, dove le aspettano i recinti che le ospiteranno per poco, prima di tornare libere. I Sami imparano e praticano la marchiatura sin dalla tenera età e, proprio i bambini, sono i più abili e veloci, soprattutto con i cuccioli. La Kota oggi si è evoluta, adattandosi ai tempi moderni e le abitazioni sono prevalentemente stabili, ma la vita al loro interno è ancora scandita dalle antiche tradizioni, come il coltello che il Sami porta sempre con se, fatto di corteccia di betulla e corno di renna caduto, con fodera in pelle di renna cucita; la cucsa, ciotola ricavata dalle protuberanze che si formano nella corteccia della betulla; il costume tipico, usato nelle ricorrenze, con i colori della bandiera ed arricchito di gioielli artigianali differenziati fra l’uomo e la donna. Anche i sapori della cucina sono ancora quelli tipici Sami: dalla zuppa di vari tipi di funghi che si raccolgono nel ricchissimo sottobosco, al salmone cotto al fuoco con le erbe aromatiche, al dolce tradizionale Sami fatto di formaggio abbrustolito e servito con la marmellata di lampone artico. Inari, nella Lapponia settentrionale, è un luogo ideale per osservere le tradizioni e la cultura dei Sami che ci vivono, nella natura incontaminata e bellissima fra il grande lago Inari, i fiumi ‘’selvaggi’’, le colline dalle spettacolari forme inconsuete.
    Baci Glo

  • rubik scrive:

    ES 3 PAG 56

    I MAORI

    I maori sono un popolo polinesiano che vive prevalentemente nel nord della Nuova Zelanda.
    Parlano il maori e l’ inglese, la lingua dei loro “invasori”
    Il moko è il tradizionale tatuaggio con cui i Màori dipingono i loro volti. I guerrieri lo utilizzano per raccontare le loro gesta, ogni simbolo vuole dire qualcosa. Alcune donne di questa tribù avevano un segno sul mento per dire che è moglie di un guerriero. Servivano a far paura. La danza della Haka è stata resa famosa nel mondo occidentale dalla nazionale neozelandese di rugby, gli All Black, che la recitano prima di ogni match. Urlando a squarciagola, fanno delle facce e tirano fuori la lingua si battono i pugni sul corpo i piedi per terra e si tirano degli schiaffi sulle cosce a ritmo con la canzone. Un uomo fa la prima voce e gli altri rispondono. Dai maori questa danza è utilizzata per esprimere il proprio stato d’ animo durante celebrazioni e le feste. La leggenda della sua nascita è legata all’ avventura di un giovane ricco capo maori, che sfugge a due assassini grazie a una coppia di sposi che lo nascondono in un pozzo. La coppia nega ma gli assassini non la bevono e quando si avvicinano al pozzo il ricco dice ka mate ka mate ovvero io muoio io muoio quando gli assassini se ne vanno dice ka ora ka ora cioè io vivo io vivo uscito dal pozzo dice: tenei te tangata puhuruhuru nana nei i tiki mai whakawhiti te ra cioè questo è l’ uomo peloso che ha persuaso il sole e l’ ha fatto splendere di nuovo su di me

  • Arianna scrive:

    Popoli indigeni del Brasile

    Tribù dei Karajá
    I popoli indigeni del Brasile (povos indígenas brasileiros in Portoghese) comprendono un grande numero di gruppi etnici distinti che hanno abitato l’odierno Brasile ancor prima dell’arrivo degli europei, intorno al 1500. Come Cristoforo Colombo, che pensava di aver raggiunto le Indie orientali, i primi esploratori portoghesi chiamarono queste genti con il nome di indios (“indiani”), un nome che è usato ancora oggi.

    Ai tempi delle prime esplorazioni europee, i popoli indigeni erano tradizionalmente tribù semi-nomadi che vivevano di caccia, pesca ed agricoltura. Molte delle circa 2000 tribù che esistevano furono sterminate con gli insediamenti degli europei, mentre molte altre furono assimilate al popolo brasiliano.

    La popolazione indigena è stata in gran parte uccisa dagli spagnoli ai tempi della colonizzazione delle Americhe, passando da una popolazione pre-colombiana stimata in milioni a circa 300.000 (1997), raggruppati in circa 200 tribù: probabilmente uno dei maggiori genocidi nella storia dell’umanità. Tuttavia, il numero potrebbe essere molto superiore se si prendessero in considerazione anche le popolazioni urbane indigene in tutte le città del Brasile di oggi. Molte delle tribù sopravvissute cambiarono totalmente il loro stile di vita pur di sopravvivere, sostentandosi di commercio praticato con le società dei coloni o assimilandosi alle popolazioni urbane di origine europea. Solo alcune tribù s’isolarono completamente nelle remote regioni dell’Amazzonia, mantenendo ancora oggi la loro piena identità culturale.

    Negli ultimi 50 anni ci sono stati cambiamenti nelle politiche verso i popoli indigeni, con creazioni di riserve e leggi speciali, che hanno permesso a questi gruppi di raggiungere la cifra approssimativa di 300.000 persone (1997), raggruppate in circa 200 tribù. Gli indios brasiliani diedero comunque un notevole contributo allo sviluppo economico e culturale del Brasile; si pensi ai generi alimentari prodotti e commerciati da queste tribù. Nell’ultimo censimento delle autorità brasiliane (2000) circa 700.000 brasiliani si sono classificati come indigeni.

  • Alessia scrive:

    Per popoli indigeni o aborigeni si intendono quelle popolazioni le cui origini in un particolare luogo risalgono alla preistoria. Esso viene così ad indicare più spesso l’anteriorità di occupazione di un territorio rispetto alla dominazione coloniale e la conseguente condizione di popolo oppresso e tutt’oggi in lotta per l’emancipazione e la conquista di diritti umani e civili. Storicamente i popoli indigeni si sono opposti a qualsiasi tentativo da parte degli estranei di definire la propria identità o influenzare le loro strutture tradizionali di governance.Sembra imprudente tentare di caratterizzare questi popoli poiché le loro storie differiscono drasticamente, così come le loro immagini.
    Le popolazioni indigene rappresentano un terzo dei 900 milioni di persone che vivono nelle aree rurali in condizioni di povertà assoluta. Qualunque sforzo volto a sconfiggere la povertà deve necessariamente prendere in considerazione le specifiche necessità delle minoranze costituite da questi gruppi etnici. Per una serie di ragioni di carattere storico e politico, le popolazioni indigene tendono a essere isolate e discriminate. Molte di esse sono state spinte verso i terreni meno fertili ed ecologicamente più fragili. Molte popolazioni indigene trovano estremamente difficile coltivare prodotti sufficienti per nutrirsi, guadagnarsi da vivere, ricevere un’istruzione e acquisire nuove competenze, disporre di assistenza sanitaria e fare ciò che è necessario per migliorare le loro vite, conservando al tempo stesso la propria identità culturale. Vivendo lontani dai centri del commercio e del potere. Molte popolazioni indigene, ad esempio, non hanno il diritto legale di vivere sulle terre da cui dipende la loro sopravvivenza o di utilizzare le risorse che hanno gestito in modo sostenibile per migliaia di anni.
    Il mondo e le tradizioni indigene sono sconosciute alla maggiorparte dei messicani. Il mondo indigeno e’ completamente differente da quello occidentale; i valori, le abitudini e tutto il resto e’ diverso. Alcune abitudini comprendono pratiche che ai nostri occhi appaiono ingiuste o crudeli e che vengono esercitate sulle donne indigene.Per esempio il fatto che sia il padre a regolare il matrimonio della figlia e che il ¨corteggiamento¨consista in una serie di regalie o di danaro per il padre della ¨fidanzata. Tutti danno la propria opinione, tranne la ragazza che molto precocemente e senza aver goduto della sua gioventu´, viene data ad un uomo al quale dovra’ servire ed obbedire.
    Vita quotidiana, tradizione e religione sono intimamente connesse e inseparabili.
    La comunita’ decide e per una donna indigena non ci sono possibilita’ per vivere al di fuori di queste tradizioni, essendo ella costretta ad accettare tutte le regole, le restrizioni ed i castighi che, per le donne stesse, sono estremamente severi. Gli indigeni chiapanechi hanno una concezione molto particolare del matrimonio; questo infatti non si considera consumato con l’atto sessuale, ma per il fatto di cucinare per il marito, lavargli i vestiti o tessergli un ¨chuc¨(un vestito di lana tipico degli Altos del Chiapas), tutti atti considerati molto intimi. Le donne vengono valutate non per la loro bellezza, ma per le loro abilita’ come cuoche, tessitrici o lavoratrici. Coloro le quali tessono bene o riescono a portare molta legna, avranno molti piu’ pretendenti di una che sia solo carina. La vita delle indigene e’ molto dura e non solo perche’ sono costrette a confrontarsi con la poverta’, la discriminazione razziale e lo sfruttamento, ma anche per il costume e le tradizioni molto ingiuste. In alcune etnie le donne non hanno diritto di parola, di voto o nemmeno ad ereditare la terra; picchiare le donne e’ un diritto dei genitori, dei fratelli e del marito. Le donne non possono decidere nelle cose piu’ importanti della loro vita come il matrimonio o la maternita’. Nessuno chiede la loro opinione ed esse debbono obbedire e seguire la tradizione per non essere emarginate dalla comunità. La rivolta zapatista non fu solo uno scossone ai politici della capitale, ma colpi’ anche le tradizioni delle comunita’ indigene che si unirono al movimento, nel momento in cui l’EZLN porto’ molti elementi modernizzantialle basi di appoggio ed alle popolazioni che lo costituirono. Se e’ sicuramente vero che l’EZLN fece propri molti elementi della cultura indigena, come l’organizzazione politica interna, i meccanismi per prendere decisioni e la ripartizione delle responsabilita’, e’ altrettanto vero che, a sua volta, l´EZLN immise elementi democratizzanti nelle assemblee delle comunita’ dove per millenni il consiglio degli anziani (uomini) aveva l’ultima parola, come l’aver fatto aumentare la partecipazione delle donne alla vita della comunita’. Le donne zapatiste insorte redattarono la legge Rivoluzionaria delle Donne i cui punti non sono molti, ma fanno fare un salto di anni luce per quello che riguarda i contenuti che propongono. Questa legge da’ alle donne la possibilita’ di decidere sul matrimonio, sulla maternita’, sul diritto a prendere decisioni, uguaglianza davanti agli uomini, diritto alla educazione e poter praticare la religione che piu’ le piace.Questa legge fu valida tra le file dei ribelli, ma le donne insorte stanno lottando affinche’ si renda valida anche tra le basi di appoggio,cioe’ dentro le stesse comunita’. In alcune di queste si sta applicando e si vede il cambiamento, persino nella divisione del lavoro domestico dove gli uomini aiutano un poco piu’ di prima le loro donne.

  • RAKXALE scrive:

    Toro Seduto
    In realtà, il suo nome tradotto correttamente è “Bisonte (maschio) Seduto”.
    Famoso capo indiano americano (chiamato”Lento”, a causa della sua abitudine di ben riflettere prima d’agire), è ricordato nella storia americana e dei nativi per aver mobilitato più di 3.500 guerrieri Sioux e Cheyenne nella famosa Battaglia di Little Big Horn, dove ottenne una schiacciante vittoria sul colonnello George Armstrong Custer del Settimo cavalleggeri, il 25 giugno 1876.
    Toro Seduto nacque col nome Hoka-Psíca (Tasso Saltante), ma alcuni membri della sua tribù capirono che era un nome provvisorio. Già suo padre si chiamava Toro seduto.
    All’età di 14 anni, Toro Seduto partecipò ad una spedizione di guerra, dove conobbe i guerrieri Crow. Riuscì a raggiungere uno dei guerrieri durante la loro ritirata e riuscì a batterlo mentre cavalcava. Per questo, Toro Seduto si guadagnò una penna di aquila bianca, simbolo di una prima azione coraggiosa e, nello stesso tempo, assunse il nome del padre. Il padre cambiò, a sua volta, nome in “Toro Saltante”.
    Il Colonnello Custer, veterano della Guerra di Secessione, era un ufficiale ambizioso, che sperava di candidarsi per la presidenza degli Stati Uniti ai primi anni ’70 del XIX secolo. Non solo si guadagnò grande fama nella Guerra di Secessione, ma anche nelle battaglie contro i Sioux. Fu facilmente notato sia fra i bianchi che tra i nativi americani, contro i quali condusse numerose offensive.
    Toro Seduto decise di ampliare gli attacchi sui bianchi, che occupavano le terre Sioux. Dalla metà del 1870, Toro Seduto si guadagnò grande rispetto fra varie popolazioni, come i Cheyenne del Nord e gli Arapaho del Nord.
    Il 25 giugno 1876, il Settimo Cavalleggeri della fanteria di Custer, capitanata dal Generale Alfred Howe Terry, attaccò alcune tribù native sul loro campo, presso il fiume Little Bighorn, dove prevedevano una facile vittoria sui “pellerossa”. L’esercito statunitense ignorò fin da principio che nella battaglia erano schierati più di 3.500 Sioux di Toro Seduto, Cavallo Pazzo e Nuvola Rossa, alleati con i Cheyenne. L’attacco dei nativi fu deciso e i soldati statunitensi vennero inesorabilmente sconfitti. I nativi, per canto loro, soffrirono meno perdite. Il numero di militari sopravvissuti si ridusse drasticamente e Custer fu costretto a far ripiegare le poche truppe rimaste. Le tribù condussero poi un contrattacco contro i soldati su una cresta vicina, annichilendo ulteriormente i soldati.
    I “Pellerossa” nei cartoni e videogiochi:
    1) cartoni
    In onda da un po’ di tempo su Super! ci sono i Dalton ergastolani in convivenza con dei pellerossa i Bracciarotte
    2)videogiochi
    In Assassin’s creed III Connor Kenway è nativo da un inglese e una pellerossa(il nome da pellerossa è Ratonhnhaké:ton (“vita piena di graffi”, da pronunciare “Rà-Dòna-Ghèdon”).

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