Oggi ci siamo divisi i compiti e gli argomenti per realizzare una ricerca su alcune tematiche legate alla mafia e alla legalità.

Abbiamo scelto:

  • alcuni personaggi che si sono spesi contro la mafia: Falcone, Borsellino, Chinnici, Lea Garofalo
  • alcuni settori in cui la mafia è attiva: traffico di donne, traffico di droga, traffico di armi, ecc.
  • alcune associazioni: Libera, Addio Pizzo

Suggerimenti:

  • Scegliere le parole chiave più precise per avviare la ricerca in internet
  • Consultare più di una fonte
  • Selezionare (sottolineare, prendere brevi appunti) le informazioni principali, pensando anche di doverle poi esporre ai compagni
  • Riscrivere con parole nostre quanto trovato
  • Preparsi ad esporre, tenendo la ricerca come traccia ma senza leggere
  • Scegliere un video, un’mmagine, una citazione..

12 Commenti a “Ricerca su mafia e legalità”

  • Glo01 scrive:

    Grazie prof. per il promemoria .

  • Glo01 scrive:

    Prof., io e Alice non troviamo le informazioni per la ricerca cosa facciamo???!!!

    • admin scrive:

      Alice e Gloria, come ci siamo dette in classe provate a cambiare le parole della ricerca in google oppure concentratevi su altri settori di azione della mafia. Spesso infatti i siti che compaiono sono troppo complicati.

  • Matilda Iannuario scrive:

    Ecco Prof., questa è la ricerca mia e di Arianna.
    Noi ci siamo portate avanti mercoledì quindi l’abbiamo finita, ma se aggiungiamo qualcosa lo riscriveremo qui 😉

  • Matilda Iannuario scrive:

    Lea Garofalo
    Biografia
    Lea Garofalo era una testimone di giustizia sottoposta a protezione dal 2002, quando aveva deciso di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco. L’azione di repressione del clan Garofalo si concretizza il 7 maggio 1996, quando i carabinieri di Milano arrestano anche Floriano Garofalo, fratello di Lea, boss di Petilia Policastro e all’ex convivente, Carlo Cosco, e fornendo anche il movente. lei e sua figlia denise entrarono nel programma di protezione, trasferite a Campobasso, si sentiva in disparte dal programma. La donna si rivolge allora prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma.
    Floriano Garofalo, nove anni dopo l’arresto viene assassinato l’8 giugno 2005. In particolare, Lea, interrogata dal pm Antimafia , riferì dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco. Inoltre, Lea dichiara al pm «L’ha ucciso Giuseppe Cosco, mio cognato, nel cortile nostro»[1], attribuendo così la colpa dell’omicidio al cognato, Giuseppe, nell’aprile del 2009, decide all’improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela e di tornare a Petilia Policastro.
    Il tentativo di rapimento
    Il 5 maggio 2009, a causa di un guasto, la donna decide di chiamare l’ex Carlo Cosco; l’uomo le invia nell’abitazione Massimo Sabatino. Lui non di era un idraulico ma era li per rapire e uccidere Lea Garofalo. La donna riesce a sfuggire all’agguato grazie all’intervento della figlia Denise e informa i carabinieri dell’accaduto ipotizzando il coinvolgimento dell’ex compagno. Lea conosceva, infatti, molti segreti della faida fra le famiglie Garofalo e Mirabelli, e si sarebbe dovuta recare, nel 2009, a Firenze per dare la sua testimonianza in un processo. In quella occasione avrebbe potuto svelare situazioni nelle quali il suo ex compagno era direttamente coinvolto. A pochi giorni dalla scomparsa è il giudice, Teresina Pepe, a dichiarare immediatamente i sospetti a carico di Cosco disponendone, insieme a Massimo Sabatino, l’ordine di custodia cautelare: «È possibile affermare che Cosco avesse un interesse concreto sia a vendicarsi, sia ad evitare che potesse riferire altro».
    L’agguato e l’omicidio
    Nel novembre del 2009 Cosco attirò l’ex compagna con l’intento di parlare del futuro della loro figlia Denise. Alcune telecamere inquadrarono madre e figlia nelle ore del pomeriggio, sono gli ultimi fotogrammi prima della scomparsa definitiva di Lea Garofalo. Il piano per il rapimento era stato organizzato quattro giorni prima: il noleggio del furgone da un cinese , l’arma del delitto, il magazzino dove svolgere l’interrogatorio dove la donna è stata successivamente fatta sparire. Sabatino e Venturino rapirono la donna e la consegnarono a Vito e Giuseppe Cosco, i quali la torturarono per ore per farla parlare e poi la uccisero. Il corpo lo portato a Monza dove venne sciolto nell’acido.
    Le indagini e il processo
    Per la scomparsa e l’omicidio di Lea Garofalo, ci furono due mandati di arresto, nell’ottobre 2010, a Carlo Cosco coinvolto già in inchieste alla fine degli anni novanta e a Massimo Sabatino. I due erano già stati arrestati a febbraio per il precedente tentativo di sequestro a Campobasso. Il 24 febbraio dello stesso anno erano già state arrestate in Molise altre due persone per aver messo a disposizione alcuni capannoni nel milanese dove la donna sarebbe stata portata dopo la scomparsa. Gli altri quattro destinatari del provvedimento sono i fratelli Giuseppe Cosco e Vito Cosco, Carmine Venturino e Rosario Curcio.Il 28 maggio 2013 la Corte d’assise d’appello di Milano conferma 4 dei 6 ergastoli inflitti in primo grado. Conferma l’ergastolo per Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino.
    Memoria
    Lea Garofalo è ricordata ogni anno il 21 marzo nella Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera, la rete di associazioni contro le mafie, che in questa data legge il lungo elenco dei nomi delle vittime di mafia e fenomeni mafiosi.
    Nel dicembre 2012 esce il libro sulla vita di Lea Garofalo, Il coraggio di dire no. Lea Garofalo, la donna che sfidò l’ndrangheta
    Il 19 ottobre 2013 si svolgono, a Milano , i funerali civili di Lea Garofalo. In piazza erano presenti migliaia di persone, l’associazione Libera e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Nel pomeriggio del 19 ottobre è stato intitolato, a Lea Garofalo, un giardino pubblico in via Montello a Milano

  • Matilda Iannuario scrive:

    Io ne ho parlato con i miei genitori, e mi hanno anche consigliato di fare una piccola ricerca su Peppino Impastato, credo che la inserirò, ma come extra 😉

  • Francesca scrive:

    GIOVANNI FALCONE:

    Giovanni Falcone è stato un magistrato italiano che ha dedicato la sua vita alla lotta contro la mafia senza mai tirarsi indietro; è stato tra i primi a identificare Cosa Nostra.
    L’eccezionale lavoro di alcuni magistrati guidati da Falcone approdò al dibattimento pubblico che vide alla sbarra 475 mafiosi, tra boss e seguaci. Esemplare la sentenza, che consentì alla magistratura di condannare all’ergastolo l’intera direzione strategica di Cosa Nostra.

    LA SUA STORIA …
    Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio 1939 da Arturo e da Luisa Bentivegna.
    E’ il terzo figlio dopo due sorelle (Anna e Maria) ed è un ragazzo molto vivace: gli piace muoversi e giocare a pallone, gioco che condividerà con gli altri bambini del quartiere a Piazza della Magione, nel cuore di Palermo.
    Fra i compagni di giochi vi è anche il futuro amico Paolo Borsellino.

    A cinque anni inizia le elementari al Convitto nazionale e la sua maestra lo definisce: “bravo, rapido e sintetico”.
    Ma è nell’ambiente familiare che il piccolo Giovanni assorbe quei valori che ne avrebbero contraddistinto il comportamento morale per tutta vita: la madre gli parla spesso dello zio bersagliere caduto sul Carso e il padre dell’altro zio, capitano in aviazione, morto quando il suo aereo era stato colpito durante un combattimento.
    Nel giovane Falcone si imprimono così il senso del valore del sacrificio e un forte senso di attaccamento al dovere.
    Dirà lui stesso: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”.

    Giovanni Falcone, dopo aver frequentato il liceo classico Umberto I e dopo una breve esperienza presso l’Accademia navale di Livorno, nel 1961 si laurea in Giurisprudenza a Palermo con una tesi sulla “Istruzione probatoria in diritto amministrativo”.
    Nel 1964 diventa magistrato a Lentini e poi rimane per 12 anni sostituto procuratore a Trapani. Trasferitosi a Palermo nel 1978, dopo l’omicidio del giudice Cesare Terranova, lavorò all’Ufficio istruzione, sotto la guida di Rocco Chinnici, e insieme a Paolo Borsellino lavorarono su oltre 500 processi.
    Nel 1978 si trasferì a Palermo, andando a lavorare all’Ufficio istruzione, dove diventò amico di Paolo Borsellino, un suo collega.
    In quello stesso periodo iniziò a indagare sulle associazioni mafiose, soprattutto sui traffici di denaro mafiosi, che lo aiutarono ad individuare il quadro di una gigantesca organizzazione criminale.
    I pochi, che lo aiutarono, diventarono vittime della mafia, un esempio è Chinnici l’uomo per cui Falcone lavorava e che venne successivamente succeduto da Caponnetto.
    Caponnetto si insidia, concependo la creazione di un “pool” di pochi magistrati, che avevano il compito di occuparsi del terrorismo e dei processi di mafia, così da avere il vantaggio della condivisione di informazioni e una visione più ampia del fenomeno mafioso.
    Chinnici assegna a Falcone nel 1980 l’indagine su Rosario Spatola, collegato anche alla mafia americana, e qui cominciò un grande lavoro di indagini bancarie e patrimoniali.
    Dopo l’uccisione di Chinnici nel 1983, Antonino Caponnetto costituisce il pool antimafia, che includeva Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta.
    Nel 1984, con l’interrogatorio al pentito Tommaso Buscetta, si ha una svolta nelle indagini contro Cosa Nostra. Quando il pool cominciò a lavorare al grande maxiprocesso a Cosa Nostra i due collaboratori di Falcone, Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, vennero uccisi e quindi i giudici e le loro famiglie vennero trasferiti per sicurezza al carcere dell’Asinara.
    Nel 1987 si concluse il Maxiprocesso, con 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e undici miliardi e mezzo di lire di multe da pagare, segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.
    Caponnetto dopo aver lasciato l’incarico venne succeduto da Meli nel 1988, che finisce con lo smantellare il metodo di lavoro intrapreso, cosa che procurò grandi ostacoli all’attività di Falcone.
    Ma la mafia non si era ancora arresa, fu così che il 21 Giugno 1989, Falcone divenne obiettivo di un attentato mafioso chiamato anche: attentato dell’Addaura.
    Ancora adesso però non si sanno le cause del suo fallimento.
    Successivamente avvennero molti omicidi tra cui quelli dei colleghi di Falcone e dei suoi informatori.
    Nel Gennaio del 1990, Falcone coordina un’altra importante inchiesta, che porta all’arresto di trafficanti di droga colombiani e siciliani.
    Negli ultimi due anni dalla morte di Falcone ci furono diverse polemiche, le quali sancirono la rottura del fronte antimafia, cosa che avvantaggiò molto la mafia, isolando sempre di più Falcone.
    Negli anni tra il 1990 e il 1992, Falcone viene attaccato da diversi fronti, in particolare è estremamente noto l’intervento di Leoluca Orlando nella trasmissione di Rai 3 “Samarcanda”.
    Puoi vedere video su : http://antimafia.altervista.org/bio_falcone.php

    Il 23 Maggio 1992, Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, poco dopo aver imboccato l’autostrada, una terrificante esplosione (500 kg di tritolo) disintegra l’ auto e ucciderà Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

    RICORDIAMO FALCONE …
    Giovanni Falcone era un palermitano elegante e molto coraggioso.
    Falcone ci ha lasciato alcuni messaggi positivi:

    “ Gli uomini passano, le idee restano e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.

    Non è ancora morto Giovanni Falcone, perché non è sparita la speranza di vedere una Sicilia che respira, che cammina da sola, che non è terra di passaggio ma che sia un punto di arrivo …

    “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.

    E lui a cinquantatrè anni a Capaci ha subito l’odio di chi voleva redimere (liberare qualcuno da qualcosa che gli porta dolore, umiliazione, svantaggio), ma nonostante tutto non è stato messo a tacere. La sua anima è cresciuta nei ricordi di tutti quei bambini che quel giorno guardavano straniti il telegiornale ma anche nei bambini di adesso (come me), che stanno conoscendo quello che Falcone ha fatto per lottare contro la mafia e quello che ha subito da essa, e stanno scoprendo che la criminalità organizzata è una cosa bruttissima.

    L’ALBERO FALCONE:

    È l’albero cresciuto di fronte alla casa del giudice.
    Dopo la strage di Capaci, il 23 maggio del 1992, su quell’albero iniziarono a essere appesi spontaneamente dei foglietti con messaggi, lettere, disegni.
    Essi portano il segno di tutto quello che i cittadini di Palermo hanno vissuto dopo la strage: il sentimento di dolore, di rabbia e disperazione a cui si sono aggiunti poco per volta anche messaggi di speranza e di manifestazione a voler continuare la lotta e i sogni di Giovanni.
    L’albero, un ficus magnolia con le foglie sempreverdi, è diventato un simbolo non solo per i Palermitani che si impegnano nella lotta contro la mafia, ma per tutti coloro che, in Italia e nel mondo, a questa lotta si uniscono.

    Ecco alcuni link di siti molto interessanti dove potete visitare …
    http://www.fondazionefalcone.it
    http://www.corriere.it/cronache/speciali/2012/giovanni-falcone-venti-anni-dopo/
    http://antimafia.altervista.org/bio_falcone.php
    https://www.ansa.it/legalita/static/bio/falcone.shtml

    Guardate il video dove Rita Falcone parla di suo fratello: http://video.corriere.it/vi-racconto-mio-fratello-giovanni-falcone/1b36d638-a044-11e1-bef4-97346b368e73

  • Alessia scrive:

    Questa ricerca la abbiamo fatta io e Andrea. TRAFFICO DI DONNE DIRETTO DALLA MAFIA:
    I soldi delle mafie da attività illegali ricavati dallo sfruttamento sessuale sono del 18%.
    Trafficare donne a scopo di sfruttamento sessuale é un mercato nero di migliaia di milioni di euro. Donne sono trafficate verso ogni area nel mondo utilizzando metodi che sono nuove forme di schiavitù. Il traffico di donne é stimato essere tra i sette e i dodici miliardi di dollari l’anno. Questo traffico illecito di donne é un’attività dagli elevatissimi profitti con rischi relativamente bassi se paragonati coi traffici in droga o armi. Coloro che ne traggono profitto sono circuiti internazionali di trafficanti e sfruttatori che profittano dei sogni di donne alla ricerca di lavori e opportunità per il futuro. Le attività di queste mafie minacciano le condizioni fisiche e il benessere di migliaia di donne così come l’equilibrio sociale, politico e economico e persino la stabilità delle nazioni in cui questi operano. Nell’industria del sesso oggi, la mercanzia più popolare e ricercata sono donne dall’Ucraina e dalla Russia. Questa ricerca si focalizza principalmente su un paese di provenienza quale l’Ucraina, la seconda nazione per grandezza in Europa, e attualmente, uno dei più grandi fornitori di donne per il mercato della prostituzione. Sebbene manchi una conoscenza dettagliata riguardo I meccanismi del traffico dalle repubbliche sovietiche, molte ricerche sulle donne trafficate e supporto alle vittime del traffico sono attività sviluppate da organizzazioni non governative in Ucraina ed in altri paesi di provenienza. All’inizio della ricerca il problema del traffico d’esseri umani é discusso e la definizione stessa del termine traffico é ridefinito. In seguito si analizzano i circuiti criminali che trafficano in donne e si analizza come siano divenuti forme moderne di schiavitù. Il ruolo delle mafie criminali nel circuito del traffico di persone è esaminato tramite alcuni casi illustrativi. Una sezione è dedicata ai metodi di reclutamento dai luoghi d’origine e come sono introdotte nei circuiti di sfruttamento d’altri paesi. Sebbene esistano molteplici modalità di sfruttamento, il loro scopo ultimo è l’assoggettamento alla prostituzione. Viene descritto come le donne prostituite vengono controllate e quali sono i vincoli che rendono impossibile la fuga.
    Le ragazze destinate a prostituirsi vengono prese dalla mafia albanese dalle famiglie con forza o tramite inganni “pubblicitari”. Attraverso annunci dove si dice che possono procurare lavoro in Italia, oppure attraverso messaggi scritti sui muri dei vari paesi. Vengono trasferite in un’area controllata da loro e con l’appoggio delle mafie tradizionali e in particolar modo la ‘ndrangheta. Dopodiché le prostitute subiscono minacce e pressioni fisiche e psicologiche di ogni genere; spesso vengono rinchiuse per giorni in una camera, dove vedono soltanto i loro aguzzini che portano i pasti. Sono costrette a prostituirsi seguendo orari massacranti, dal primo mattino fino a tarda serata. Vengono controllate costantemente tramite appostamenti e se perdono il loro contatto visivo, allora le chiamano sul cellulare.
    Addirittura, tramite delle intercettazioni telefoniche, emerge che i loro aguzzini imponevano alle donne di non perdere tempo nemmeno per mangiare. In maniera tale da fare più prestazioni possibili. Perché la mafia albanese si comporta con violenza inaudita nei confronti delle donne e le considera peggio di un oggetto da consumare e poi buttare? Questa mafia ha una struttura molto simile a quella della ‘ndrangheta, non ha una cupola ed organizzata in maniera orizzontale, sono composte da più clan e sono uniti tramite legame di sangue. Inoltre sono vincenti perché si reggono tramite rituali e una forte tradizione. Esattamente come la ‘ndrangheta e proprio come essa loro hanno pochi pentiti. Anzi, in Italia finora non c’è stato nessun mafioso albanese che si sia pentito. Il loro feroce sfruttamento delle donne senza un minimo di pietà è legato al loro rispetto dell’arcaico codice d’onore chiamato Kanun, una serie di norme trasmesse oralmente per secoli che si fanno risalire al XV secolo. Questo codice, e sia chiaro, non fa più parte della cultura dei cittadini albanesi ma viene rispettato solamente dalla mafia.
    Esattamente come tutte le mafie italiane, per continuare ad esistere devono sottostare a determinati codici arcaici. Poi qui in Italia nemmeno così arcaici visto che il delitto d’onore è stato abolito dal codice penale italiano solamente nel 1981. Il codice Kanun considera la donna un essere inferiore che può essere picchiata e anche, per alcuni casi, uccisa. Perfino nei funerali la donna è considerata l’ultima ruota del carro e nessuno può lamentarsi della sua morte. Insomma neppure la morte rende uguali maschi e femmine. L’Albania è uno Stato dove la mafia si è consolidata subito dopo la caduta del comunismo e la politica intera è legata ad essa. Il Kossovo è diventato un terminale della mafia e il centro del traffico di prostituzione, droga e anche degli organi. I disordini di questi giorni sono dovuti anche dalla disperazione dei cittadini nei confronti della corruzione dilagante e della mafia istituzionalizzata che impoverisce sempre di più la popolazione nonostante lo sviluppo economico. Anche l’Italia è su quella stessa via, sta diventando un Paese corrotto e mafiosizzato come i Paesi dell’est. Le Istituzioni sono così colluse che perfino la Magistratura Italiana non riesce a trovare una collaborazione reale. La mafia albanese opera in tutte le regioni Italiane, in particolar modo l’Umbria, l’Abruzzo e la Calabria per quanto riguarda droga e prostituzione.

  • Vittory01 scrive:

    Vittoria e Ilham.
    Ricerca Rocco Chinnici.

    Rocco Chinnici è nato il 19 gennaio 1925, a Misilmeri, Palermo. Rocco ha studiato presso il liceo classico “Umberto I”, a Palermo, ottenendo la maturità. Successivamente si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, a Palermo, laureandosi il 10 luglio 1947. Mentre studiava all’università, per dare sostegno economico alla famiglia Rocco lavorava come Procuratore nell’Ufficio del Registro di Misilmeri, là incontra Agata Passalacqua che lavora presso una scuola media, che sarebbe presto diventata sua moglie.
    Chinnici entrò in magistratura nel 1952, avendo come prima destinazione il tribunale di Trapani come uditore giudiziario. Nel 1954 nasce la sua prima figlia, Caterina Chinnici. Più o meno in quel periodo nascevano gli altri suoi due figli: Elvira (gennaio 1959) e Giovanni (gennaio 1964).
    Viene trasferito a Partanna, dove rimane pretore per 12 anni. Il 9 aprile 1966 viene trasferito a Palermo e dopo poco viene assunto come giudice istruttore presso il tribunale di Palermo, all’Ottava Sezione dell’Ufficio Istruzione. Rocco Chinnici è chiamato lu Preturi da tutti , diventava , sempre più spesso, la persona alla quale rivolgersi per avere un aiuto o anche soltanto per sentirsi dire qualche parola di conforto. Condannava, quando c’era da condannare, sempre con umanità, sempre cercando anche di comprendere le ragioni dei comportamenti sbagliati per dare alla pena una portata soprattutto rieducativa, per capire dove e come agire affinché quei reati non si ripetessero. Nel 1970 gli viene assegnato il primo grande processo di mafia, quello per la “strage di viale Lazio”. Nel 1975 gli venne data la qualifica di magistrato di Corte d’Appello e nominato Consigliere Istruttore Aggiunto. Quattro anni dopo è incaricato Consigliere Istruttore e inizia a dirigere, da titolare, l’ufficio in cui opera da tredici anni. E’ in questo periodo che le istituzioni italiane cominciano a vacillare sotto i colpi di una mafia ormai diventata talmente potente e sfrontata da sfidare apertamente lo Stato. Chinnici capisce che se viene ucciso, vengono eliminate con lui anche le sue indagini, il che, per la mafia, sarebbe un vantaggio. Chinnici crea il “Pool antimafia”, per questo viene anche chiamato il padre del “pool antimafia”. Esso è composto da appena quattro persone tra cui Chinnici, Falcone e Borsellino. Partecipò anche al maxi-processo. Rocco fu il primo magistrato a parlare agli studenti di mafie e di droghe. E’ nel pieno di questa attività professionale, sociale e culturale che, il 29 luglio 1983 una Fiat 127 imbottita di esplosivo fu parcheggiata davanti alla sua casa in via Pipitone Federico, a Palermo e fu fatta esplodere dal killer mafioso Antonino Madonia, uccidendo Rocco Chinnici, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi.
    In una delle sue ultime interviste Chinnici ha detto: “La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare”.
    Vittoria e Ilham

  • admin scrive:

    Per tutti vi segnalo la guida di Unimondo sulla mafia in cui potete trovare informazioni ma anche articoli selezionati e recenti su come la mafia agisce nei diversi campi economici e in differenti luoghi.

    http://www.unimondo.org/Guide/Politica/Mafie

  • Vittory01 scrive:

    Prof…..io e Ilham non abbiamo trovato molte informazioni perché erano sempre un po’ le stesse però mi sembra che raccontiamo come davvero è stata la vita di Rocco.
    Vitto <3

  • rubik scrive:

    ADDIOPIZZO

    Addiopizzo è un movimento antimafia nato a Palermo intorno al 2004 che promuove la partecipazione democratica per superare il sistema del potere mafioso.
    Infatti secondo una ricerca statistica circa l’80% delle persone erano costrette a pagare il pizzo per poter sopravvivere; ma il 29 giugno 2004 sono apparsi centinaia di adesivi attaccati per le strade del centro di Palermo con scritta questa frase:
    UN INTERO POPOLO CHE PAGA IL PIZZO È UN POPOLO SENZA DIGNITÀ.
    Da allora la campagna si è estesa tramite il passaparola, il web e l’emulazione coinvolgendo sempre più persone.
    Come associazione stimola il cittadino/consumatore ad una scelta attenta dei prodotti da acquistare da imprenditore e professionisti che non accettano la pressione della mafia.
    Si occupa anche di divulgare queste informazioni e far crescere la sensibilità, anche con progetti didattici rivolti alle scuole.
    Dal 2009 si occupa anche di volontariato per sostenere le famiglie in difficoltà, oltre a incentivare un turismo etico a sostegno di chi si è opposto alla mafia.

Lascia un Commento

Devi aver fatto il login per inviare un commento