Scrivete qui i vostri racconti. E commentate anche quelli degli altri dando qualche suggerimento o se volete dicendo quale vi piace di più
Mercoledì 29 devono essere o sul blog o su carta, ma scritti al pc e stampati. Tranne ovviamente quelli che ho io
Una mattina d’Aprile la signor Rosa va, come ogni mattina, ad aprire l’immenso portone principale del Duomo.
Come al solito immerge le mani nell’acqua santa e rpova sempre un’emozione particolare, una profonda solitudine accentuata dal silenzio tombale.
Ma quella mattina un odore strano insospettisce Rosa.
“C’è qualcosa che non va” pensa fra se’ e se’.
Rosa incomincia a percorrere la navata centrale, guardando da tutte le parti, sempre più insospettita.
Apparentemente sembra tutto normale ma quell’odore indecifrabile è sempre più intenso.
Rosa è sempre più preoccupata e spaventata, i suoi pensieri sono tutti rivolti a cosa può essere successo dietro a quell’immenso altare verso il quela si dirige velocemente.
Rosa associa quell’odore alla carne marcia e alla putrefazione e le viene in mente che il giorno prima aveva lasciato il parroco Don Luca da solo, al contrario di quello che facevano abbitualmente.
Senza fermarsi Rosa prosegue verso l’altare quando vede quello che non avrebbe mai voluto vedere: il corpo del parroco Don Luca accasciato sugli scalini dell’altare con un’immensa chiazza di sangue che lo circondava.
A quella scena Rosa si mette ad urlare pallida in viso, la rpima cosa che le viene in mente è quella di chiamare la polizia.
Alla centrake squilla il telefono nell’ufficio del Capitano Scotti e alle sue orecchie giunge una voce spaventata e concitata: “Aiuto c’è Don Luca morto! Morto aiuto aiuto!!”.
“Non si agiti troppo, stia calma e mi dica dove si trova!?”.
“In Duomo, in Duomo, dentro la chiesa, sono una perpetua, sbrigatevi!”.
Scotti chiama subito il suo uomo migliore che senza modestia, sono io.
“Rossi è urgente, si rechi subito in Duomo, c’è un omicidio, mi dia notizie al più presto”.
“Non si preoccupi si ricordi che può sempre puntare su di me!”.
Dieci minuti dopo sono lì, e mi ritrovo davanti ad una scena che non avrei mai potuto immaginare.
La prima cosa che vedo è una profonda ferita alla testa quasi sicuramente causa dal candelabro accanto al suo cadavere.
Mi accorgo di una signora seduta sulle panche affiancata da due agenti di polizia e credo che sia la signora Rosa.
Evidentemente è molto spaventata e disorientata, è bianca in volto, mi avvicino per farle alcune domande per chiarire un po’ la dinamica.
Ma all’improvviso il mio collega trova una nitida impronta sull’arma del delitto e così capisco che abbiamo risolto un altro caso!
Trovata l’impronta mettono il candelabro da parte mandandolo subito alle centrale per i rilievi.
Nel frattempo la chiesa si sta riempendo di persone e la polizia sta cercando di fare delle domande per ricavare delle informazioni da posssibli testimoni.
Tra le persone presenti c’è anche uno degli adetti all’interno della chiesa e subito e mi avvio a fargli qualche domanda.
Da subito capisco che non sta mentendo e mi racconta che la sera prima aveva visto la vittima discutere con un uomo abbastanza alto di mezza età e pelato.
Convincendolo a pensare bene ad alcuni dettagli fondamentali per l’indagine l’ oumo si ricorda che l’ipotetico assasino portava il classico collarino dei preti, pur essendo lontano gli è sembrato di riconoscere in questa persona il nuovo parroco appena arrivato in città.
Al quel punto ci siamo recati subito in sacrestia per cercare Don Pino.
Lo portiamo subito in centrale e lo interroghiamo dopo avergli preso le impronte digitali.
Lui nega di essere coinvolto e sostiene che era fuori per cena.
Nel frattempo arriva l’esito dell’impronta digitale sul candelabro e incredibilmente corrispondono a quelle di Don Pino.
Messo alle strette confessa di aver ucciso Don Luca per gelosia e per prendere il suo posto in parrocchia.
Un’altra indagine è andata a buon fine e un altro deliquente è stato smascherato.
M. , lo scrittore, si era da poco trasferito al Monte Amiata, un condominio della periferia milanese costruito agli inizi degli anni 70 da due famosi architetti: Carlo Aymonino e Aldo Rossi.
Da tempo M. cercava un appartamento più grande, più comodo in una zona tranquilla , per potersi dedicare al suo lavoro di scrittore di libri fantasy.
Quello che interessava ad M.. era si il silenzio, ma non assoluto perché i luoghi e le persone che poteva intravedere dalla finestra del suo studio erano spesso la sua ispirazione.
Gli sembrava di essere finalmente arrivato nel posto giusto. Ora, riordinata la casa, collocati sugli scaffali tutti i libri e sistemato il computer sulla scrivania davanti la finestra della camera scelta come studio, poteva finalmente dedicarsi al suo lavoro, riprendere il capitolo lasciato a metà a causa del trasloco.
Non aveva ancora ripreso il filo del discorso interrotto, doveva risolvere un complicato intreccio di battaglie e personaggi, quando sentì un urlo , subito seguito da un colpo sordo, proprio sopra la sua testa.
“ Forse questa casa non è poi così silenziosa “ – si ritrovò a dire a voce alta , sperando forse di essere sentito da quelli dell’appartamento di sopra.
Ma non era finita, perché quasi subito uno strano grattare alla sua porta, accompagnato da un guaito, lo costrinse a lasciare a metà la frase che stava scrivendo.
Aperta la porta d’ingresso M . fu , per così dire, travolto da un grosso pastore tedesco che entrato in casa si diresse verso la cucina . Mentre M. decideva se cacciare il cane o ridere della scena buffa, sentì : “ Lei deve essere il nuovo inquilino, benvenuto, e scusi Rex , ma sa lui era abituato con i vecchi inquilini entrare e farsi dare una manciata di croccantini era diventata un’abitudine. Ma lasci che mi presenti : sono il professor. Tedeschi, ho insegnato italiano per tanti anni in una scuola qui vicino, ma ora sono in pensione .”
“ Io sono M… ho traslocato da poco , il mio lavoro è scrivere, e fino a qualche minuto fa pensavo di essere venuto ad abitare in una casa silenziosa”.
“Ci scusi” – disse il professore- “In effetti Rex rischia di darle un’idea sbagliata del Monte Amiata, questo è effettivamente un palazzo tranquillo.
“No professore” –spiegò subito M. – “Non mi riferivo a Rex , ma ai rumori che vengono dall’appartamento sopra il mio”.
“ Ma è sicuro ? “– chiese stupito il professore – “ L’appartamento sopra di lei è vuoto da tempo”.
Le assicuro che i rumori provenivano dall’appartamento di sopra.
“Che siano i ladri? “ – si chiese il professore-
“Senta, perché non mi accompagna a vedere?”
“Perché no, in fondo con Rex cosa ci può succedere?”
Arrivati di sopra M. e il professore vedono la porta dell’appartamento socchiusa, a voce bassa si interrogano sul da farsi. Ma è a quel punto che Rex entra nell’appartamento. Tanto vale seguirlo.
Dentro c’è il caos : sedie rovesciate, vestiti ammucchiati in mezzo alle stanze, cassetti aperti. Mentre M e il Professore girano per l’ appartamento Rex si fermato davanti a un cassettone …
M. si avvicina, toglie il primo cassetto, quello contro cui abbaiava Rex. Sul fondo c’è un pacchetto avvolto in una stoffa a righe, forse è quello che cercavano i ladri.
A questo punto il professore dice a M che devono chiamare la polizia, o meglio il Vice questore Rossi del vicino Commissariato, proprio di fronte a una delle portinerie del palazzo.
Con qualche difficoltà i due resistono alla curiosità aspetteranno l’arrivo del vice questore per sapere cosa c’è dentro il pacchetto che ha trovato Rex.
Finalmente arriva il poliziotto amico del professore. non è solo con lui alcuni poliziotti con gli strumenti per rilevare impronte ,.
Ma è il pacchetto quello che incuriosisce, e finalmente verrà svelato il contenuto.
Il vice questore decide di fare veder ai due investigatori dilettanti cosa c’è nel pacchetto. Dentro ci sono delle fotografie. In tutte le fotografie ci sono le stesse persone : due uomini e una donna e sullo sfondo sempre un palazzo sede di una banca.
Ma è a quel punto che M. si ricorda di avere sentito un urlo. Perché dei ladri dovrebbero urlare con il rischio di farsi scoprire, si chiede.
Il vice questore Rossi dice che sono tante le domande a cui rispondere, ma la prima è : Chi sono le persone sulle fotografie? E perché le fotografie sono così importanti ?
M. a quel punto si arrende, troppe domande e lui non è uno scrittore di gialli
Saluta il Vice questore, saluta il professore e accarezza Rex che ricambia il saluto appoggiando la zampa alla sua mano.
Finalmente a casa!
M . torna davanti alla scrivania e cerca di riprendere la farse lasciata a metà: “ Il drago con una zampata….. :” ma cos’ha tra le dita? Un filo di lana arancione , ma come è finito tra le sue dita? E’ in quel momento che squilla il campanello.
Ma non era una casa tranquilla?
Aperta la porta si trova di fronte una coppia, un uomo e una donna non più giovani, sorridono e la donna ha in mano qualcosa avvolto in un canovaccio.
“ Siamo i suoi vicini, abitiamo nell’appartamento di fronte, l’abbiamo vista dalla finestra intenta a scrivere, ma volevamo offrirle una torta di benvenuto”.
Così dicendo la vicina stende le braccia e porge la torta a M.
E’ a quel punto che M vede uno strappo nel maglione arancio , lo stesso arancio del filo di lana attorcigliato sul suo dito.
M. si rende conto e capisce tutto: i ladri sono i vicini, gli inquilini dell’appartamento di fronte.
Non riesce a capire come, ma tra le mani del suo vicino spunta un coltello.
M. si sente perduto, non riesce a pensare nulla . E’ in quel momento che si sente spingere di lato: è arrivato Rex.
La porta socchiusa e l’idea dei croccantini aveva fatto arrivare Rex, e M. era salvo.!
Il vice Questore Rossi rifletteva sulla fortuna di avere casi così vicini al commissariato: prima il furto e poi due quasi assassini.
Ma perché tutta quella fatica per delle fotografie? E finalmente capisce.
Sulle fotografie c’erano i due appena arrestati insieme a un terzo uomo davanti alla Banca di piazza Duomo svaligiata sei mesi prima. E la foto serviva per ricattarli .
Approfittando dell’assenza del complice, l’inquilino dell’appartamento sopra quello di M., volevano recuperare le foto.
Restava solo un mistero da risolvere : l’urlo sentito da M.
Il vice Questore lo chiese ai due arrestati che si guardarono, fecero uno starno sorriso, ma non risposerro.
Correzione del testo.
La macchina.
Una luce soffusa, un cielo nero, un’aria penetrante, era questa l’atmosfera che potevo cogliere tornando a casa dal lavoro; parcheggiai imperterrito ma ad un certo punto però vidi un volto che appariva più scuro grazie alla
controluce dei lampioni; non riuscivo a capire chi fosse ma vidi che entrò nella macchina di mia moglie. In quella frazione di secondo nella mia testa mi facevo mille domande: cosa ci faceva quell’uomo dentro la macchina di mia moglie?
Era forse un ladro? Era forse l’amante? Ma agii di istinto, scesi dalla macchina e tirai un pugno al finestrino del conducente, dove era seduto l’uomo e quello in un batter docchio scappò, come se fosse scomparso nel grigiore di Milano, tra la nebbia milanese era inavvistabile e me lo feci scappare.
Fu proprio lì che mi misi a riflettere e fu lì che mi inginocchiai per pensare all’accaduto, quel ragazzo sembrava davvero giovane perchè avrebbe mai dovuto rubare la macchina di mia moglie,
probabilmente era stato ingaggiato, o forse i genitori non potevano permettersi di accontentarlo in tutto, solo dopo aver pensato a tutte queste cose però fui fiero di come avevo reagito perchè non avevo avuto reazione,ero stato fermo, immobile quasi come se fossi stato io ad avere paura, forse la cosa più facile da fare in quel momento sarebbe stata sfogare tutta la mia rabbia verso il ladro e godere delle sue soffernze per ciò che stava facendo maaa, no sarebbe stato da ingenui ed irresponsabili perchè se avessi fatto tutto ciò sarei stato solo un bambino, un piccolo bamino, quindi tornai a casa comunque un viso pacifico e non violento di uno che aveva fatto a botte e in più per fortuna ero riuscito a difendere quello che avevo.
Giallo a Milano.
Driin!. Era notte fonda e stavo dormendo profondamente quando il telefono incominciò a suonare e mi svegliai per rispondere:
-Pronto!, chi è la persona che si permette di disturbarmi a quest’ora?!- urlai con tutta la voce che avevo in gola. Dall’altra parte del telefono sentii una piccola vocina. Sembrava che qualcuno piangesse e chiedesse aiuto. Se mi ricordo bene cercava di darmi un indirizzo ma parlava talmente veloce che fu un miracolo che io riuscissi a capire. Nonostante l’ora e il sonno, aprii bene le orecchie per capire, mi stavo preoccupando.
Allora misi il giubbotto, afferrai le chiavi della mia vecchia auto e corsi diretto in via Novara.
Appena entrai nel condominio(più che delle case, sembravano baracche del ghetto: il ghetto è un quartiere in cui vivono persone povere, i figli di nessuno, chi non ha altra scelta. Non ci sono fognature, l’acqua non è potabile e tutto sembra lercio. Le case sono fatte di lamiera, cartone, plastica. ), sventato dall’ambiente circostante, stavo per estrarre la pistola, ma poi mi ricordai che, non essendo in divisa non l’avevo dietro con me. Cominciai a guardare ogni balcone, quando finalmente fidi la pazza che mi aveva chiamato. Per evitare che si buttasse giù dall’ottavo piano, corsi per le scale mezze distrutte. La convinsi ad entrare in casa e a fare due chiacchere. Notai subito due cose: era una ragazza che non avrà avuto più di venti anni; addosso aveva un portaneonati in cui c’era un bambino e dal tanfo che emanava era ovvia che fosse morto. Per tranquillizzarla e per saperne di più del perché mi aveva chiamato; perché piangeva e perché si voleva suicidare, le feci alcune domande:
-Il tuo nome?-
-Sara- disse singhiozzando lei.
-Mi vuole spiegare per quale motivo lei sta tenendo un cadavere in braccio? Lo sa avrebbe dovuto già chiamare la polizia?-
Piangeva così tanto che non riusciva a parlare e anche a me venne il magone, vedendola in quello stato d’animo.
-Come una stupida quindicenne, questo pomeriggio andai al concerto di Jovanotti insieme alla mia amica. Da quando ho quindici anni non ho più rapporti con la mia famiglia e un giorno mi sono accorta di essere incinta. Inutile entrare ora nei particolari ma decisi di tenere il bambino. Non avendo nessuno che me lo potesse tenere, non ho avuto altra scelta. L’ho portato con me. All’inizio ovviamente piangeva ma dopo poco dormiva come un angioletto. Alla fine del concerto, tornai a casa e a quel punto mi resi conto che era morto. Non sarei dovuta andare a quel dannato concerto, non sono stata una buona madre. Come al solito ho pensato solo a me stessa- mi confessò.
Non seppi cosa fare: la ragazza piangeva a dirotto e continuava a ripetere sempre le stesse cose; era disperata. Per non cadere anch’io nella disperazione, continuai a farle domande, mostrandomi forte e serio:
-Ultimamente, aveva litigato con qualcuno?-
-Si, con la mia amica Matilda. Era arrabbiata perché avendo solo due biglietti per il concerto, non l’avevo potuta invitare. Non posso crederci che l’abbia fatto veramente!?-.
Era proprio così Matilda aveva avvelenato il neonato durante il concerto senza che nessuno se ne accorgesse.
Dopo 6 mesi…
La signora Matilda Muritoo è accusata di omicidio e gli anni di carcere a lei assegnati sono quindici.
Un Giallo A Milano.
-Non voglio tornare a casa!- pensò Alessandra tornando dopo un’uscita con gli amici-Non voglio stare di nuovo sola in casa con la servitù che gira per la casa! Sono stufa di restare sempre a casa da sola! Mio padre non c’è mai e quindi perché dovrei ubbidirgli se tanto lui non c’è?!?!- , continuava a pensare, camminando verso casa. Cammina cammina si ritrovò al solito bivio, una strada portava verso casa sua mentre l’altra portava al parchetto di Via Fichera e lei decise di prendere la seconda strada. Il parco di Via Fichera era un grande parco diviso in quattro aree: l’area picnic con quattro tavoli in pietra sotto un gazzebo, il campo da basket bianco con quattro canestri, un piccolo parco giochi per i bimbi e un grande prato. L’erba del prato era sempre così verde ed in primavera, quando sbocciavano i fiori, il praticello si punteggiava di mille colori. Alessandra adorava andare al Fichera, così lo chiamavano i ragazzi, per lei era un luogo speciale. Lì aveva conosciuto molti suoi amici ma di quel posto lei adorava soprattutto sdraiarsi sul prato e guardare le nuvole.
Alessandra non aveva alcuna intenzione di dare retta a suo padre, il grande imprenditore Caine sempre in viaggio per firmare contratti e che non aveva passato mai più di due giorni con la figlia. Alessandra era determinata ad infrangere le regole e così fece. Era una ragazza dal carattere molto forte e non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno; e quando aveva in mente qualcosa non c’era modo di farle cambiare idea, si leggeva chiaramente nei suoi grandi occhi verdi che non avrebbe mai ceduto.
Una volta arrivata al parco, una brutta sorpresa era lì ad attenderla. Sdraiata su un tavolo da picnic c’era una sua amica con cui era appena uscita, Sara. Era tutta ricoperta di sangue con tre colpi d’arma da fuoco sul petto e una scritta vicino a lei: “Perché? Perché Si!”. Era inquietante vedere Sara con le lacrime al viso e un taglio ancora insanguinato sotto l’occhio destro.
Alessandra scoppiò a piangere e corse verso il corpo dell’amica. Non voleva crederci ma Sara era lì davanti a lei. Nonostante lo schock, non perse un minuto e chiamò subito la polizia che arrivò poco dopo. E così iniziarono le indagini.
Per prima cosa le autorità chiusero il parco per le analisi ed il ritrovamento di eventuali indizi; Alessandra era sempre con loro ed aveva ottenuto il permesso di aiutare nelle indagini perché figlia di Caine ma a lei non importava. Lei amava l’investigazione e quando scoprì che le era stato permesso di aiutare nelle ricerche ne fu contentissima e poi il suo intervento era di vitale importanza visto che conosceva la vittima. Durante le indagini Alessandra diede un po’ di informazioni alla polizia sul conto di Sara:
-L’ultima volta che l’ho vista è stata ieri, eravamo uscite insieme ad altri due amici, Daniel ed Andrea. Daniel era il ragazzo di Sara, recentemente avevano avuto delle incomprensioni ma avevano risolto- disse.
-Ma che tipo di ragazza era Sara?- le chiese una poliziotta.
-Era un tipo molto vivace e solare, non era molto brava a scuola ma era molto popolare. Si dice che avesse avuto molti ragazzi, molti dei quali aveva tradito per sete d’amore.-
-Quindi era la classica ragazza tutto fumo ma niente arrosto?!-
-In parte sì ma non del tutto. Molte volte sapeva essere una grande amica e dare molti consigli.
-Eri affezionata a lei?-
-Abbastanza, la reputavo una buona amica.- e così, senza rendersene conto, le avevano appena fatto un interrogatorio.
Un giorno, andando nel luogo del crimine, Alessandra si ricordò che il giorno in cui Sara fu uccisa, Daniel le aveva chiesto di parlare in privato. Si mise a correre verso la casa di Daniel; non appena fu arrivata andò a citofonargli, chiedendogli di scendere un attimo.
Daniel scese ed Alessandra era lì ad aspettarlo:
-Dimmi. Che cosa c’è?- chiese lui con voce tranquilla:
-Tu sei il mio migliore amico e come tale non devi avere segreti con me.-
-Dove vuoi andare a parare?- chiese Daniel con un pizzico di preoccupazione nella voce:
-Volevo chiederti che cosa vi sei detti tu e Sara l’altro giorno, l’ultima volta che siamo usciti insieme. -, Daniel iniziò a scrocchiarsi nervosamente le dita e ripose:
-Ma niente di importante, ci siamo solo detti che era meglio darsi una pausa.-
-Ma davvero? La sai l’ultima?! Sara è MORTA!-
-M..ma come? Io non ne sapevo niente!- disse lui, cercando di far uscire almeno una lacrima dagli occhi ma senza riuscirci.
-Tu hai la minima idea di chi possa averla ammazzata?-
-N..no, del resto stava simpatica a tutti, no?-
– Certamente…- disse Alessandra con una puntina di sospetto nel tono della voce. Daniel non aveva il coraggio di guardarla negli occhi perché aveva paura di quelle grandi sfere verdi che sapevano cogliere tutto in un attimo. E così si salutarono ma Alessandra non era del tutto convinta che Daniel dicesse la verità. Dopo quel giorno i due ragazzi non si sentirono più per una settimana, fino al giorno in cui Alessandra capì tutto.
Il caso di Sara era ancora aperto, le autorità avevano fatto molti interrogatori, molte analisi ma pareva che il criminale si fosse attrezzato bene per non essere riconosciuto; nonostante questo Alessandra aveva capito tutto. Le analisi mostravano che l’arma da fuoco utilizzata era una Colt 1911 a salve 8mm e Sara conosceva una sola persona che possedeva un arma simile: Daniel. Daniel era un appassionato di crimine ed aveva in casa molte pistole regalategli dal padre per i suoi vari compleanni, la sua preferita era quella Colt 1911; in più Daniel non aveva neanche un alibi perché quella sera, la sera dell’omicidio, solo lui era con Sara.
Alessandra andò a denunciare Daniel alla polizia e lui non fece niente per difendersi, non fece niente perché sapeva che la sua migliore amica aveva ragione.
-Ma che significato aveva la scritta trovata vicino al cadavere?- chiese il poliziotto che stava ammanettando Daniel:
– Quella scritta era la risposta che aveva dato Sara quando Daniel aveva scoperto che era stato tradito dalla sua ragazza e per questo l’ha uccisa. Morendo Sara gli avrà sicuramente chiesto “perché” e lui avrà risposto “perché si”.-
L’ANIMA IMMORTALE DEL CAVALIERE
Era una notte buia e gelida. A Milano le luci dei palazzi era tutte spente, le strade erano vuote e i negozi chiusi, si udiva solo il gracchiare infinito dei corvi.
All’improvviso si sentì un urlo straziante provenire dalla torre più alta del Castello Sforzesco.
La polizia arrivò in un attimo e tutti i ficcanaso scesero dal letto e andarono in piazza a curiosare.
Arrivata alla torre la pattuglia trovò il corpo in fin di vita di una ragazza che subito fu trasportato dall’ambulanza all’ospedale più vicino.
Sulla scena del crimine pochi indizi, solo il giorno successivo il commissario fu contattato dal medico ed informato che dall’esame effettuato sul corpo della vittima non si era rilevato neanche un graffio e ciò rendeva tutto più misterioso.
“E’ molto strano” disse Gerardo , il commissario.
“ Cosa possiamo fare? Non abbiamo neanche un misero indizio” disse Giuliano, il vice commissario mentre sorseggiava un caffè.
Ad un tratto la porta del commissariato si spalancò violentemente lasciando entrare un vento impetuoso mentre fuori pioveva a dirotto.
Sull’uscio si intravedeva una sagoma scura che con passo lento si avvicinava a Gerardo e Giuliano.
Non un rumore solo il ticchettio degli stivali.
“Chi è lei”? Urlò Gerardo. Giuliano cadde a terra svenuto e con lui il suo caffè.
La sagoma scura non aprì bocca continuando ad avanzare lentamente verso la luce.
Lo stesso rumore di passi echeggiava nella stanza.
La luce tremolante delle lampade era il segnale che di lì a poco l’ufficio sarebbe piombato nel buio.
E buio fu.
Gerardo fu rapito da quella sagoma scura.
Ad un tratto la luce tornò e Gerardo si trovò in un posto sconosciuto circondato da scaffali pieni di libri.
La stanza puzzava di muffa a terra c’era un tappeto morbido che in quel contesto appariva spettrale.
“Dove mi trovo ? Aiuto! Per favore aiutatemi” implorò Gerardo.
Era legato mani e piedi, non era armato e in più se qualcuno glielo avesse chiesto non sarebbe nemmeno riuscito a dire dove si trovava.
L’unica finestra della stanza era chiusa con una tenda che copriva la visuale.
Improvvisamente un uomo entrò dalla porta della stanza, aveva capelli lunghi con un mantello nero, un vestito anch’esso nero e un paio di stivali dello stesso colore.
“Tu sei l’uomo che era al dipartimento! Perché sono qui? Cosa vuoi da me?” disse Gerardo con tono accusatorio. “Stai calmo okay! Qui non sono io il cattivo. Io sono Enrique e sono il cavaliere del Castello!” Rispose l’uomo con tono patriottico. “Il principe del castello?” domandò Gerardo.
“Aspetta un secondo! E’ solo una leggenda non puoi essere vero?!” Replicò Gerardo disperato.
“Sono qui per il caso che tu e il tuo collega state seguendo, sono certo di sapere chi è l’assassino. Prima di accusare qualcuno, volevo sapere se avete trovato qualche indizio “. Disse il cavaliere cominciando a sciogliere i nodi delle corde che legavano Gerardo.
“No! Non abbiamo trovato niente. Sul luogo del delitto nemmeno una traccia di sangue. Il medico dell’ospedale ha dichiarato che sul corpo non c’era traccia di violenza, la morte era quindi inspiegabile.” Disse Gerardo finalmente libero.
“Seguimi!” Ordinò il cavaliere uscendo dalla stanza.
In quell’istante Gerardo si accorse che si trovava all’interno del castello Sforzesco, in una delle stanze mai visitate per questioni di sicurezza.
I due uomini arrivarono sul luogo dell’incidente ed Enrique disse:” Non è che non ci sono indizi, il punto è che bisogna stare attenti anche al più piccolo dettaglio.” Enrique si avvicinò alla libreria posta sul lato destro della stanza vicino al camino, prese un libro dal secondo ripiano e un attimo dopo la libreria ruotò svelando un passaggio segreto che conduceva ad una scala,la percorsero e, aperta la porta sul fondo, vi trovarono uno studio zeppo di fogli pieni di appunti.
Gerardo si avvicinò alla scrivania e vide in terra una penna d’oca imbevuta d’inchiostro ancora fresco. Sulla scrivania vi era il foglio strappato di un diario su cui era scritto:”Carissimo diario, sono davvero fiero di me è da anni che sognavo di uccidere la Salvatrice, ora potrò vivere per sempre, sarò immortale e nessuno potrà impedirmelo, poiché il ciondolo della vita lo posseggo io.”
Gerardo era stupefatto, Enrique si avvicinò e chiese a Gerardo cosa avesse letto di tanto sconvolgente. “ Un incantesimo per l’immortalità! Non credevo potessero esistere davvero certe cose. Non capisco, tuttavia chi è la Salvatrice e cos’è il ciondolo della vita.”
Gerardo era curioso, troppo curioso per i gusti di Enrique ma aveva il diritto di sapere, quindi parlò.
“Amico mio, sembra bello non invecchiare mai, lo so ma non è tutto rose e fiori. Vivi tutta la vita, e non puoi morire anche dopo aver sofferto. Per anni la Salvatrice è stata la nostra unica speranza anzi la mia speranza, perché sono ventenne da duecento anni ormai.
Ho vissuto la mia vita da solo perché tutta la mia famiglia, eccetto mio fratello Claid di cui ho perso le tracce, è morta in un’imboscata. Per salvare gli eredi, cioè me e Claid ci hanno dato la pozione della vita eterna. L’assassino voleva impossessarsi della polvere contenuta nel ciondolo che la ragazza portava al collo la sera dell’omicidio. L’ho cercata per anni e quella sera stavo per recuperarla ma qualcuno mi ha preceduto.”
“Quindi dobbiamo trovare questo tizio di cui non conosciamo l’identità!” Disse Gerardo.
Enrique annuì e uscì dalla stanza, ma fu fermato dalla canna di una pistola che puntava verso Gerardo. “Lascialo stare! Lui non centra niente; Per favore lascialo in pace chiunque tu sia.”
L’individuo entrò nella stanza.
Un passamontagna impediva ai due uomini di identificarlo. Al collo portava una collana d’oro con uno stemma a forma di leone ed era vestito in modo trasandato.
Gerardo provò l’impossibile. Gli si avventò contro cercando di disarmarlo.
Enrique colse l’attimo e gli strappò la collana dal collo, mentre Gerardo prese le manette e lo immobilizzò.
Usciti dalla stanza segreta, Gerardo chiamò una pattuglia.
Mentre aspettavano il suo arrivo, Enrique tolse il passamontagna all’individuo che svelò un volto a lui familiare. “Claid?! Sei tu…..ma cosa diavolo ti è saltato in mente?” Disse Enrique stupito. “ Cosa mi è preso? Enrique cosa è preso a te piuttosto! Hai sempre detto che sarebbe stato fantastico restare insieme e vivere la nostra vita da immortali, invece, hai scelto di tornare mortale. Non volevo perderti, volevo averti al mio fianco per l’eternità.” Disse mentre un lacrima gli scendeva sul viso.
“Mi dispiace fratello, ma è la cosa giusta.” Disse Enrique spargendo sul suo corpo la polvere contenuta nel ciondolo della collana.
“Resterai per l’eternità in carcere!” Disse Gerardo, mentre Enrique diventava col passare dei minuti sempre più anziano.
La polizia arrivò e arrestò Claid per omicidio. Enrique morì la sera seguente. Gerardo lo portò al castello e lo seppellì nella tomba di famiglia accanto ai suoi cari. “Riposa in pace amico mio!” Disse lasciando sulla lapide un mazzo di fiori colorati e la collana tanto desiderata.
Come detto in classe, brava! E’ un bel racconto. Ti ho fatto qualche correzione sulla carta e quindi non le riporto qui
La macchina.
Una luce soffusa, un cielo nero, un’aria penetrante, era questa l’atmosfera che potevo cogliere tornando a casa dal lavoro;
ma ioparcheggiai inperterrito, ma ad un certo punto però vidi un voltoscuritoche appariva più scuro per via dell’effettodallacontroluce dei lampioni, non riuscivo a capire chi fosse ma vidi che entrò nella macchina di mia moglie,. In quella frazione di secondo nella mia testa mi facevo mille domande: cosa ci faceva quell’uomo dentro la macchina di mia moglie?Era forse un ladro? Era forse l’amante? Ma agii di istinto, scesi dalla macchina e tirai un pugno al finestrino del conducente, dove era seduto
luil’uomo e quello in un batter docchio scappò, come se fosse scomparsopernel grigiore serale di Milano non lo so, semplicementeinavvistabile
traper via della nebbia padana. Fu proprio lì che mi misi a riflettere e fu lì che mi inginocchiai (perché?) per pensare all’accaduto: quel ragazzo sembrava davvero giovane,come maiperché avrebbe dovuto mai rubare la macchina di mia moglie?Magari era stato ingaggiato, magari i genitori non potevano permettersi di comprargliela;
masolo dopo aver pensato tutte queste cose fui fierio di come avevo reagito perchè non lo avevo rincorso per picchiarlo, che sarebbestata magari la cosa
dibanale; no, mi sono controllato perchè se fosse stato un povero ragazzo che non sapeva il rischio delle sue azioni? Se fosse stato scelto da una gang? Se lo avesse fatto per non sentirsi diverso?Non avrei dovuto rovinargli la vita con un semplice gesto
nonincontrollato.L’idea è abbastanza buona anche se non proprio da giallo, però il testo non è scritto con cura e ci sono diversi errori sia di ortografia (maiuscole, per esempio), sia di sintassi. Secondo me sai fare di meglio! :-(
NOTTE ROSSA.
Era un giorno come tanti, ma sentivo come qualcosa di diverso, sì era così, stava per accadere qualcosa.
“Corriere della sera ore sette del mattino: “Trovato corpo donna giovane circa venticinque anni in mezzo alla strada, morta soffocata dal proprio sangue. Professione escort”La notizia
chesmosse la tranquillità e la pace iniziale della giornata a Milano, un omicidio.Vanessa Fiorelli fu trovata in un appartamento di Via Manzoni (o altra via che vuoi ma è necessaria la localizzazione visto che il giallo è ambientato a Milano) nella notte tra mercoledì sera e giovedì mattina immersa in una pozza di sangue con di fianco a sé un omino fatto di carta.
Il particolare che colpì la polizia fu proprio l’oggetto in carta trovato vicino alla vittima: che senso aveva? Era forse solo una coincidenza?
Decise di occuparsi del caso l’investigatore Porelli (metterei: l’investigatore Porelli decise di occuparsi del caso), iniziando le indagini qualche ora dopo il decesso. Interrogò la famiglia, gli amici, ma niente, non riuscì a trovare neanche un indizio.
Qualche giorno dopo
,la frustrazione del detective fu scossa da qualcosa di più grande, infatti, trovarono il corpo senza vita della famosa rappresentante politica della regione, la signora Viniscelli.La vittima fu trovata anch’essa in una pozza di sangue sempre con vicino lo strano e insolito omino di carta
,che diede nell’occhio e attirò l’attenzione del signor Porelli. Anche qui ci starebbe bene un’indicazione del luogo con riferimento a MilanoNon si trattava di una caso. In giro c’era un Serial Killer?
Iniziarono con l’interrogare tutti i conoscenti delle due vittime per vedere se avevano qualcosa in comune, ma non trovarono niente, solamente il dispiacere e le lacrime dei fidanzati, mariti, parenti e amici. Continuarono ad indagare e intanto si sparse la voce attraverso giornali, TV; ormai tutta Milano ne era a conoscenza. L’omino bianco colpì ancora, uccise una giovane impiegata, Nivia Lorello, ma cosa avevano in comune tra di loro queste ragazze?
L’investigatore dopo la morte dell’ultima vittima riuscì a trovare un legame tra le tre donne, grazie al coinquilino della giovane impiegata, non che fidanzato della escort.
Tutte e tre lunedì sera si trovavano in un rifugio in montagna con altre quattro persone.
Grazie a questa informazione la polizia, insieme al Signor Porelli,
risalironorisalì ai nomi delle altre quattro persone presenti quella sera. Erano tre uomini e una donna.Iniziarono a cercare questa persone e scoprirono che la ragazza, Rita Visale si era appena trasferita a Hong Kong. Venuti a conoscenza di questa notizia chiesero alla polizia cinese di tenere sotto controllo la ragazza e di proteggerla.
Non fecero in tempo a rintracciare uno dei due ragazzi, Tommaso Porta, che lo trovarono decapitato nel suo appartamento con appoggiato sul petto il solito omino bianco. Non potevano più permettersi altri morti, dovevano trovare l’ultima persona prima che il Killer colpisse ancora.
Fallirono, anche la sesta e l’ultima persona morì, annegata nella sua vasca da bagno.
Rimaneva solo Rita Visale che sarebbe tornata a Milano per l’interrogatorio o almeno così tutta la città pensava…
La notizia si sparse e tutti ormai si aspettavano la ragazza a Milano, ma non era così, era una trappola per incastrare l’omicida e andò a buon fine perchè il colpevole venne preso e portato in galera. Si trattava di Antonio Spintoima l’ultimo ragazzo che si trovava nel rifugio quella sera, la sera dell’incubo infinito.
Va bene…io aggiungerei qualche riga nella conclusione per chiarire meglio chi è il colpevole e come è stato catturato
E tutti gli altri racconti? Io ne ho solo pochi in carta e devo dire neppure proprio strepitosi.
Vi ricordo che oltre a partecipare al concorso i vostri testi vengono valutati e se non per la gloria, almeno per non prendere un votaccio dovreste impegnarvi un po’. Tanto più che avete avuto almeno un mese per cimentarvi:-)
Sono SOLO APPARENTEMENTE GENTILE…che cosa voglio dire? A voi ottimi investigatori capire!
UNA SERIE INFERNALE
Era una mattina fredda,il vento scuoteva le cime degli alberi. Non ero nella mia casa perché mi trovavo a Milano ,ma le mie abitudini non erano cambiate.
Mi preparai il thè e guardai fuori dalla finestra ,uno strato di neve sottile stava decorando il paesaggio .
Presi il giornale e lessi il rimo articolo:”Poirot trovato assassinato davanti al parco del Castello Sforzesco.”
Mi fermai.
Sul giornale dicevano che ero morto ma nello specchio c’era ancora il mio riflesso.
Mi vestii in tutta fretta e mi precipitai sul posto .
Dovetti prendere la metropolitana ,un posto molto sporco rispetto al mio solito taxi.
La gente mi squadrava in modo strano come se fossi morto .A Milano la stampa è peggio di un avvoltoio pensai.
Arrivato sulla scena del crimine a terra con la testa sporca di sangue c’era un uomo ,identico a me.
Aprii la bocca e dissi:”Non posso essere io non avrei mai messo un giacchetto blu con i pantaloni arancioni.”
Tutti gli investigatori presenti si voltarono di scatto e uno domandò:”E allora chi è?”
Mi guardai intorno ,la neve aveva creato un manto abbastanza spesso nel quale l’assassino aveva lasciato le impronte .
La scena del crimine era una zona piccola,ma con tanti dettagli.
L’uomo aveva una ferita alla testa ,come se avesse sbattuto contro qualcosa ,e sotto di lui c’era un sasso ,una possibile arma del crimine. Mi inginocchiai vicino alla vittima e confrontai le sue ferite con la forma del sasso. Non combaciavano. Ero in un vicolo cieco.
Ricominciai esaminando le impronte. Era piccole un 38-39 un numero da donna . Aveva smesso di nevicare e sul suolo compariva una pista che partiva da una casa ed arrivava alla scena del crimine.
La scena del crimine non era quella.
Scortato da altri poliziotti andai,senza inquinare le prove,verso la casa.
La casa era ad un piano gialla. Bussai,nessuno ripose,ma la porta si aprì.
La casa era a soqquadro ,la libreria era caduta,i cassetti svuotati,le lampade a terra le piante rovesciate.
Regnava il caos.
All’improvviso una signora entrò dalla porta ed iniziò a gridare,lasciò i sacchetti della spesa e svenne.
Io e gli altri poliziotti la portammo sul divano e quando si riprese iniziai a farle alcune domande.
Le mostrai una foto della vittima ,che avevo scattato appena arrivato, e le chiesi:”Signora ,lo riconosce?”
E lei :”Si ,è mio marito.”-“Mi dispiace signora,hanno prima ucciso suo marito e poi l’hanno derubata.”
Lei:”Che cosa mi importa del furto….ora che non ho più lui ho perso tutto… chi può aver pensato di spaccargli il cranio.”
Avevo capito e per confermare la mia risposta chiesi :”Lei che numero porta di scarpe?”-“Trentotto,perché?”
Io dissi:”Arrestatela.”
Pochi minuti dopo entrò il capo ispettore e sul suo volto si percepiva la perplessità.
“Cosa hai fatto?”-mi gridò contro ed io con tutta calma risposi:”Ho risolto il caso.”
“La moglie era sconvolta,non avrebbe mai ucciso il marito .”-rispose-“Questo lo dici tu le prove dicono il contrario. Ha ucciso il marito per ricever tutto il premio che le aspetta.
Per terra nel disordine ho trovato questo assegno con s scritto:Hai vinto 100mila euro per il premio di scienze,per Nicholas Vitton.
Nicholas Vitton è il nome della vittima ,ho visto nella sua maglietta il nome cucito sull’etichetta.
La seconda prova è che io non le avevo detto come era morto suo marito e lei lo sapeva già e le impronte sulla neve che creano una pista da qui al parco corrispondono con il numero di scarpe che porta la signora.”
Appena finii di parlare il cellulare dell’ispettore suonò. Rispose e lo fissai mentre accennava un sì prontamente alla voce dall’altra parte.
La chiamata finì e mi disse:”Altro omicidio,andiamo.”
Oggi la giornata prometteva bene ,dissi tra me e me.
Il secondo luogo del delitto era in via Mack Maon all’interno di una casa ,di colore giallo.
Entrato osservai la tappezzeria.
Era al quanto rozza,su ogni parete c’erano foto di animali ,il tappeto era fatto di pelle di panda e su due lati della casa c’erano esposte armi. Alla vittima piaceva la caccia.
All’interno della casa c’era un uomo che iniziò a spiegarci come avvennero i fatti:”Non me lo sarei mai aspettato…sapevo che covava del ancore per una vecchia storia ma…”
Sembrava parlare sinceramente.
Continuò dicendo:”Mi fidavo invece…ad un tratto mi ha puntato questa doppietta …ha sparato due colpi mancandomi miracolosamente .
Allora ho reagito subito,mi sono lanciato su di lui. Nella lotta dalla sua arma è partito un colpo che lo ha ferito a morte.”
“In questo caso sarebbe legittima difesa.”affermò l’ispettore.
Feci un giro per la casa e notai che sulla mensola per le esposizioni di pistole ,c’erano due spazi vuoti.
Mi avvicinai all’amico della vittima e gli confermai:”Bella storia ,arrestatelo.”
L’ispettore mi guardò ancora più perplesso di prima ma io prontamente ribattei:”Una doppietta spara solo due volte quindi è impossibile che il terzo colpo sia partito da quell’arma.
Qui manca una seconda arma che è il nostro espediente del delitto,e giusto che c’erano solo loto due in casa ,l’assassino è davanti a noi.
Il signore ha inventato tutto per non finire in galera.”
Arrestarono l’uomo ed io uscii dalla porta ma appena varcai la soglia un acuto Drinn danneggiò il mio sensibile udito.
Mi girai e vidi l’ispettore al telefono.
Finita la chiamata precisai:”Lo so ,dove dobbiamo andare?”
“In Duomo è stato ucciso un matematico.”rispose infastidito.
Dopo 15 minuti eravamo a casa della vittima. Mentre l’ispettore esaminava la scena io perlustrai la casa.
Trovai un quadro con la foto del professore e un attestato con su scritto che era un istitutore di matematica appassionato di storia romana. La casa era di colore giallo.
Mi avvicinai all’ispettore che mi informò:”L’ucciso (meglio la vittima) stava scrivendo quando l’assassino gli ha sparato …stringeva ancora in mano la penna .”
Guardai il biglietto e c’era scritto :1001 100
Non capivo L’ispettore riprese a parlare:”Abbiamo due sospettati Michele e Aldo. Aldo ha detto che
haal momento del crimine era al parcohaa correre e Michele ha detto che era a casa a dormire.”“Ho capito!”-Esclamai-“L’assassino è Michele.”
Ormai l’ispettore non si stupiva più e i iniziai a spiegare:”Il morto ci ha scritto chi è il suo assassino.
Traducendo il numero 1001 100 in numeri romani viene fuori MIC.
MIC=MICHELE.
Tornammo di là e Michele confessò tutto come se sapesse già cosa dire e avesse già programmato la sua confessione.
Oggi i casi mi sono sembrati veramente facili e le persone accusate di omcidio non hanno contestato, ma le prove dicono la verità e quindi non posso avere dubbi, pensai tra me e me.
Ormai era buio e io tornai a casa.
Dopo 30 minuti di mezzi pubblici arrivai,aprii la porta e sul tavolo trovai una lettera con su scritto:”Bravo Poirot credi di aver risolto tre casi ma sei veramente sicuro che siano loro gli assassini?
Io odio le case gialle.
Guardai fuori dalla finestra dove vidi un uomo che mi guardava e rideva,non sapevo cosa fare.
Lo fissai fino a quando sulla strada non comparve l’autobus che mi
copriicoprì la visuale; passato l’autobus lui non c’era più.Brava! Molto bello questo racconto. Attenzione agli spazi: non c’è spazio prima della virgola ma solo dopo; e attenzione al solito passato remoto. Nelle ultime righe fai degli Orroracci!
ASSASSINIO DA DINO’S CAFFE’
Era una mite giornata di primavera, la gente correva da una parte all’altra delle strade per andare a lavorare, i bar erano affollatissimi, pieni di persone che bevevano caffè e intanto chiacchieravano allegri; uno dei bar più gremiti della città era Dino’s caffè dove la giovane Lara Rotemberg stava sorseggiando un delizioso cappuccino continuando ad aggiungerci grandissime cucchiaiate di zucchero, una abitudine che aveva quando qualcosa nella sua vita la rendeva molto agitata e nervosa; Lara non faceva altro che guardarsi intorno osservando ogni cliente, cameriere o animale che si trovasse nei dintorni come se ognuno volesse rapirla o peggio ucciderla.
Aveva infatti ricevuto negli ultimi giorni delle lettere minatorie nelle quali le intimavano di andarsene dalla città perché se non lo avesse fatto le sarebbe accaduto qualcosa di brutto, ma lei dopo averci pensato aveva concluso che doveva essere solo un stupido scherzo da parte di un suo amico e che niente che c’era scritto fosse vero. Eppure stava molto attenta a quello che faceva o mangiava e si guardava continuamente in giro.
Anche quella mattina aveva ricevuto una lettera e questa volta era molto esplicita, infatti, c’era scritto con parole molto dirette che sarebbe morte se non avesse lasciato immediatamente la città; comunque anche se questa orribile sorpresa l’aveva scossa molto non ne aveva fatto parola con nessuno per paura le sue amiche l’avrebbero presa sul serio.
Stava ancora pensando alla lettera quando ad un certo punto si sentì mancare, non riusciva bene a respirare e vedeva tutto appannato non più nitido come prima, si guardò intorno e poi con un ultimo battito del suo cuore cadde dalla sedia.
Le persone avendo udito un grosso tonfo si voltarono verso la giovane svenuta per terra, subito una ragazza accorse per vedere cosa fosse successo, le prese il polso e velocemente si girò verso un signore urlando: “Chiamate un medico!!!”.
Ci fu un gran trambusto appena arrivò il medico, il quale visitando la signora si era accorto che il suo svenimento non era un semplice malessere bensì era stata avvelenata e così alle quattro del pomeriggio il bar era gremito di medici, poliziotti e testimoni.
Solo una persona non c’era nel bar: era la famosa Liliana Moode, un’anziana e stravagante signora che stava seguendo la vicenda attraverso i giornali, era così che lei risolveva i casi, stando nella sua bella casetta di campagna e ogni tanto quando c’erano dei casi difficili se ne allontanava per andare in città ed è appunto leggendo sul giornale di questa vicenda che decise di partire e di seguire il caso di persona.
Il mattino dopo, quindi, Liliana si ritrovò alla centrale di polizia e stava discutendo animatamente con il capitano, un suo vecchio amico, il quale sosteneva che l’assassino dovesse essere Luca, ossia l’ex fidanzato con cui Lara si era appena lasciata. Liliana però la pensava diversamente perché era sicura che ci fosse una donna dietro questa vicenda e lo capiva da una cosa in particolare, dal fatto che Lara Rotemberg era morta per avvelenamento, la tecnica che erano solite utilizzare le donne; per accertarsi però che le sue previsioni fossero vere decise di andare a vedere il luogo del delitto, il veleno infatti, secondo tutti, era stato messo nel cappuccino visto che sul tavolo erano state trovate solo una tazzina vuota e una zuccheriera, ma fu su quest’ultimo oggetto che Liliana posò gli occhi, si fermò un attimo a ragionare e poi afferrata la zuccheriera l’aprì, dentro c’era solo del semplice zucchero, ma questo Liliana lo sapeva già ancora prima di aprirlo, quello che invece si mise ad osservare era la quantità di zucchero che c’era dentro, infatti, dei testimoni avevano affermato che la ragazza prima di morire non aveva fatto altro che guardarsi in giro nervosamente e mettersi grandissime cucchiaiate di zucchero nel cappuccino, quindi, se le sue deduzioni erano giuste, la zuccheriera era stata scambiata con un’altra .
Fu così che si mise a guardare la lista dei testimoni e un nome le saltò subito agli occhi: Lisa May, la quale era l’attrice che avrebbe dovuto prendere il posto di Lara se lei non avesse potuto recitare, questo le bastò per capire chi fosse l’assassina e subito una brillante idea le venne in mente.
Chiese a tutti i testimoni la cortesia di poter tornare al bar e rivivere la vicenda, possibilmente con i vestiti che avevano quel giorno con la scusa di far sembrare tutto più reale; la recita iniziò ma Liliana non stava guardando, aspettava impaziente qualcosa che puntualmente arrivò, infatti, i presenti dissero che Lisa era stata la prima ad avvicinarsi alla donna e a soccorrerla e così Lisa fece vedere quello che aveva fatto ma Liliana che era sicura della sua teoria e di come erano andati i fatti, le disse che aveva dimenticato un particolare: di scambiare le due zuccheriere, cosa che Lisa smentì subito.
Liliana però questo se lo aspettava, le prese il giubbotto e iniziò a frugare nelle tasche in cerca di una cosa che non fu difficile da trovare, infatti, la tasca sinistra era piena di zucchero che fece ricadere sul pavimento, alla vista dello zucchero, Lisa si mise a piangere urlando arrabbiata che aveva fatto di tutto per non arrivare ad uccidere, ma Lara non prendendo sul serio le sue lettere se le era cercate e che aveva fatto bene ad ucciderla perché era una pessima attrice; ma Liliana non la stava ascoltando, la guardava dritta negli occhi con faccia bonaria e triste per il brutto destino a cui quella ragazza andava incontro.
Fu così che prese la sua borsa e uscì dal bar in cerca di un nuovo caso su cui indagare.
L’ho corretto sulla carta e quindi potrai vedere tu stessa dove ci sono errori o punti deboli! Comunque è una buona storia