Abbiamo discusso oggi di quali sono i temi principali del racconto di I. Calvino “Avventura di un miope” e abbiamo visto come tra questi molto importante sia ladifferenza tra GUARDARE e VEDERE così come il tema dell’ESSERE VISTI per quello che si è o attraverso /grazie ad una “maschera”, in questo caso gli occhiali.
Commentate qui il racconto, dicendo se vi è piaciuto, se vi ha colpito, se vi ha in qualche modo fatto riflettere e perché?
Inserite qui il racconto della vostra esperienza: vi è mai capitato di essere “visti” in un modo diverso da come voi pensate di essere? Vi è mai capitato di “indossare una maschera” con la quale mostrarvi agli altri, pur sapendo che si trattava solo di qualcosa di aggiunto, non proprio vostro?
In questo testo viene messo molto in gioco il tema della visione, nello specifico la differenza tra osservare e essere osservati, prima che mettesse gli occhiali infatti l’uomo osservare le persone che passavano, le belle ragazze, lui squadrava tutti senza preoccuparsi magari di come si potevano sentire le persone osservate, un giorno però il protagonistà diventò miope e non riuscì più a vedere le persone a fuoco, le vedeva un po’ a puntini non chiaramente, così fece ricorso agli occhiali. Tutti mentre lo vedevano passeggiare lo guardavano ovviamente, magari perchè aveva una bella montatura, magari perchè faceva ridere o aveva degli occhiali enormi, così per una volta potè capire cosa vuoldire essere osservato. Dietro a questa storia però c’è un grandissimo argomento su cui si potrebbe aprire un dibattito infinito e io credo che in questo testo venga bene fuori ed è per questo che lho trovato molto interessante, è riuscito a parlare di un argomento molto delicato tramite una storia molto banale e semplice ma significativa.
I secchioni
Era settembre, uno di quei settembri dove le foglie degli alberi sono ancora verdi e il sole spacca le pietre.
Era il mio primo giorno di scuola delle medie e vedevo ragazzi di diversi colori salutare i genitori all’entrata.
Sembravano tanti fiori in un campo fiorito, tutto dava un senso di allegria movimento, sembrava un ‘onda che voleva giocare contro gli scogli.
Ci divisero in classi e mi sembrava di essere diventata una mosca in uno sciama di api regine.
Era come se le altre persone non mi vedessero, ma era anche impossibile che fossi diventata invisibile.
I loro volti sconosciuti mi impaurivano le loro risate mi incutevano terrore.
Sembravano degli orsi ed io la piccola formichina.
Erano degli orsi terrificanti con un vocione possente mentre io avevo una vocina che faticava ad uscire.
Le settimane passarono ed io iniziavo a diventare un’orsetta, la mia voce iniziava ad alzarsi ,ma c’era un problema, è come se avessi stampato in fronte:secchiona.
Ma cosa vuol dire secchiona?
Se secchione è una persona che ha voglia di studiare e di imparare, sì mi identifico in quel gruppo.
Ma se secchione è la persona che studia ed non ha una vita privata, no non mi identifico in quella categoria.
Non credo che il vero secchione esista,non credo che il personaggio col cravattino, che usa il papion e che tiene tutti i libri in mano esista credo sia
solo frutto dell’immaginazione dei ragazzi che si sentono costretti a classificarti, perchè non si può essere soltanto:Sara.
Ed è proprio questo che mi è accaduto, mi hanno collocato in un gruppo che mi assomiglia solo perchè prendo dei bei voti.
Ma che cosa è un voto?
Se i ragazzi vanno a scuola solo per tornare a casa con un numero rosso su un foglio, cosa vanno a scuola a fare?
Forse per essere stata collocata in quel gruppo dovevo avere qualche caratteristica in più.Come ad esempio ero più emotiva; e non mi mettevo a gridare nei corridoi parolacce e se invece non fossi io il problema ma loro che non mi conoscono abbastanza?
Ecco cosa accadeva nella testa di una ragazza di undici anni, idee, pensieri e dubbi correvano e sbattevano fra loro, scindendosi in due così creando nuovi dubbi.
Man mano la scritta che avevo in fronte, fortunatamente non scritta con il pennarello indelebile, svaniva perchè loro iniziavano a conoscermi.
Anche adesso alcune volte vengo colpita da una freccia
ancora più forte, una freccia che colpisce al cuore:secchiona di terza media.
Mi ricordo un episodio che ho condiviso con i compagni di calcio di mio fratello.
Eravamo tutti in cerchio e discutevamo delle pagelle.
Eravamo divisi in curva nord che gridava, starnazzava mentre il centro era quello che dirigeva l’orchestra.
Sotto le loro tute blu che nascondevano il loro aspetto come quando un bambino si nasconde sotto le coperte per proteggersi, la loro tuta li proteggeva dalle squadre nemiche.
Ad un certo punto saltò fuori l’argomento condotta, come una rana che ha voglia di uscire fuori.
A quel punto le tute blu iniziarono a pronunciare numeri come se stessero giocando al bingo, ma la cosa che stupì me ed un mio amico fu che i numeri andavano dal sei al otto.
Io ed Emanuele a quel punto ci guardammo e contemporaneamente dichiarammo, come se fossimo tornati all’epoca dei romani:”Io dieci.”
Pochi secondi ci fu silenzio.Gli altri ci guardarono come si guarda un alieno che sbarca dalla Luna sulla Terra.
Ci guardarono con un’aria schifata come si guarda un brufolo appena nato sul naso e mi è dispiaciuto di essere paragonata ad un brufolo.
Io ed Emanuele ci guardammo come due pesci fuori dall’acqua.
Era strano?
Solo adesso riesco a rispondere a questa domanda.C’è a chi piace il gelato al cioccolato, c’è a chi non piace la nutella e c’è a chi studiare piace, io mi identifico nell’ultimo gruppo.
Questo racconto mi è piaciuto molto perchè mi ha fatto riflettere e ripensare alla prima volta in cui ho messo gli occhiali e a quanto ero eccitata all’idea di posserderne un paio, come se indossarli significasse cambiare.
Gli occhiali, infatti, sono veramente una maschera, basta pensare agli occhiali da sole, che spesso noi usiamo quando abbiamo qualcosa da nascondere come: le occhiaie.
Un’altro punto significativo è il tema del vedere la vita in modo diverso, perchè è solo quando ci rendiamo conto che ci manca qualcosa, in questo caso il protagonista non riesce più a mettere a fuoco le cose da lontano, ci rendiamo conto di tutto quello che ci siamo persi quando potevamo.
Il protagonista, infatti, quando viene a sapere di dover mettere gli occhiali, inizia a vedere la vita con più interesse e più curiosità, andando oltre la superfiacialità delle cose.
Gli occhiali però non sempre hanno dei pro, molto spesso possono dare a noi stessi due identità diverse: quella con gli occhiali che ci da sia la possibilità di poter vedere ma allo stesso tenmpo ci può nascondere agli occhi degli altri e quella senza occhiali, che è tutto il contrario e che ci rende più insicuri; ma queste due identità esistono solo se sono in relazione con gli altri perchè se no non cambia nulla.
Ciò che più mi è piaciuto e sul quale, secondo me, la prof ci voleva far riflettere è il fatto che lui sceglie degli occhiali molto particolari, grossi e che gli coprono la faccia. Lui non prende quelli con le stanghette sottili, grazie ai quali non sarebbe stato tanto diverso dagli altri, ma sceglie quelli grossi e buffi coi quali però si trova più a suo agio, in un certo senso sceglie di essere se stesso e non di essere come tutti gli altri, gli occhiali sono quindi una metafora e la scelta che lui fa è più profonda: essere se stesso e rischiare di non essere accettato oppure “omologarsi” alla massa, cercare di essere come tutti gli altri per essere accettato.
Questo racconta a me, personalmente, è piaciuto molto perché mi ha fatto riflettere su una cosa, come un paio di occhiali ti possano cambiare la vita.
Aveva scelto degli occhiali del tutto diversi da quelli normali, degli occhiali che gli coprivano tutto il viso, come se fossero una maschera, con quelli si sentiva a suo agio a differenza degli altri dalla montatura esile e stretta che permettevano a tutti di guardarlo, di fissarlo.
I primi occhiali non rispecchiavano il suo essere se’ stesso, mentre il secondo paio lo facevano sentire a suo agio, si sentiva bene.
Un paio di occhiali ti possono cambiare la vita; con vedeva tutto perfettamente dal minimo particolare sul volto di una persona al più insulso e ingenuo punto, non vedeva più delle persone qualsiasi ma le persone ognuno diversa dall’altra.
Senza, il mondo cambiava, tutto diveniva scuro, indecifrabile, vedeva solamente una massa indistinta di gente tutta uguale senza una sua identità o particolarità.
Il racconto di Calvino mi è piaciuto perchè quando il protagonista incomincia a portare gli occhiali mi sono immedesimata in lui, perchè anche io la prima volta che ho portato gli occhiali le person enon mi riconoscevano.
Nella storia mi ha colpito il fatto che il protagonista fosse affascinato dal paesaggio notturno e di come sia cambiato il suo modo di vedere anche le più piccole cose, come le stelle che con gli occhiali non erano più dei puntini luccicanti in celo.
Si, questo racconto mi è piaciuto prima di tutto perchè mi immedesimo. Io non porto gli occhiali da tanto e la prima volta che li ho messi in prima media mi sono accorta veramente del cambiamento. Quando non vedevo bene ma non avevo ancora gli occhiali non me ne ero accorta perchè allora ero abituata a vedere sfocato e mi sembrava normale, anche se sapevo di essere miope perchè mel’aveva detto l’oculista non capivo lo stesso. Ma poi quando li ho messi ho visto tutto più nitido e chiaro, prima i volti da lontano non li distinguevo, vedevo solamente vaghe e indistinte macchie rosa. Neanche le scritte riuscivo a leggere da lontano, era tutto così sfocato e in un certo senso dava il nervoso. Tutte le persone le vedevo come una massa tutta uguale. Poi però i primi tempi che ho messo gli occhiali non la smettevo mai di guardarmi intorno, leggevo tutti i cartelli e mi divertivo; perchè per me era una cosa nuova vedere tutto così nitido. Certo, io non ho scelto un paio di occhialoni enormi dietro al quale mi nascondo, ma ne ho scelti un paio sottili e per questo sembra che sia una persona che ce li abbia da sempre, e questa cosa, confermo, dà molto fastidio. Mi hanno colpito in particolare le accurate descrizioni con cui calvino fa capire le emozioni del personaggio, e anche le metafore legate al guardare. Si, questo racconto mi ha fatto riflettere.
Questo racconto mi è piaciuto molto perchè con un semplice oggetto, gli occhiali, costruisce un senso di doppia vita per il protagonista, sempre, gli occhiali sono il punto essenziale su cui si basa questa avventura nella quale trova Amilcare Carruga superare la diversità nel tenere gli occhiali perchè se li avesse tenuti nessuno lo riconosceva e questo fa si che gli occhiali costruissero un muro che isolasse l’uomo e se non li avesse tenuti tutti lo riconoscevano ma Amilcare non riconosceva loro.
Una cosa che ho imparato da questo racconto è stata la differenza fra vedere e guardare perchè io prima credevo che questi due termini fossero sinonimi, ma in realtà non è cosi perchè vedere è una cosa abituale e distratta, mentre guardare è una cosa piacevole ed è un mezzo con cui puoi osservare le forme, le particolarità e il senso pratico che un oggetto ha.
Questo racconto è molto interessante perchè fa capire come una persona può essere giudicata solo dall’ apparenza e come può essere diversa da prima. Adesso ogni persona, compresa me stessa, giudichiamo solo da quello che vediamo, senza sapere cosa ci sia sotto, giudichiamo solo dall’ apparenza.
Estate 2010..
16-06-2010, dovevo partire per la Sardegna, lì avrei trascorso un intero mese a casa dei miei cugini Luca e Andrea, senza la mia famiglia. Ero già molto in ansia perchè era la prima volta che stavo così tanto tempo lontano dai miei, però ero molto entusiasta di vedere i miei cuginetti.
Arrivai in compagnia di mio padre, che il giorno dopo sarebbe ripartito per Milano. Tutto tranquillo e felice, ero contentissima di essere lì. Il giorno dopo salutammo mio padre e ci recammo subito alla spiaggia di Oristano. Mi sentivo molto in imbarazzo perchè non mi piaceva per niente il mio fisico e quindi decisi di tenere la maglietta tutto il tempo. Dopo una decina di minuti che tutti mi guardavano perplessi a causa del mio comportamento e della mia maglietta, si tuffarono tutti in acqua.. In quel momento il nervoso mi assalì, io amavo l’ acqua, la spiaggia, gli amici.. Amavo tutto del mare, solo che ero troppo vergognosa per togliermi quella maledetta maglietta e tuffarmi con loro. Il giorno passò e arrivati alla sera, dovevamo cenare. Antonella, mia zia mi guardò e mi chiese: ” Veronica cos’hai fatto oggi? Perchè non ti sei tolta la maglia? C’è qualche problema?” io imbarazzata gli risposi: ” No no, zia, è solo che non mi piace che gli altri mi guardino, non mi sento a mio agio..” Lei mi guardò con una faccia molto strana, non si capiva cosa volesse dire, ma non disse niente. Il giorno dopo successe la stessa cosa, era più forte di me, non volevo togliermi quella maglia, forse avevo troppa paura del giudizio degli altri, mi facevo troppi problemi. Mi straiai sul telo e mentre prendevo il sole delle mani mi afferrarono le caviglie e delle altre i polsi, e in pochi secondi mi ritrovai in acqua, tutta bagnata. Mi fermai qualche secondo, poi presi la maglietta, me la tolsi e la lanciai sulla spiaggia. Tutti entrarono in acqua con me e insieme giocammo per ore con l’ acqua. Ero felicissima e tra me e me continuavo a pensare che nessuno mi aveva detto niente, nessuno aveva notato il mio fisico, anzi mi avevano anche detto che ero normalissima e mi facevo solo delle inutili fisse. Dopo questa esperienza capii che non bisogna sempre pensare male o farsi delle fisse, bisogna guardare oltre e non giudicare sempre e solo dall’ apparenza.
Il testo di Italo Calvino ha un registro molto alto e la punteggiatura sembra ritmare il racconto dandogli un senso di movimento che suscita emozioni diverse da quelle che si provano in un testo tradizionale.
Italo Calvino infatti racconta i pensieri e le riflessioni sui personaggi,da situazioni banali riesce a far emergere la parte riflessiva e psicologica.
La particolarità dei personaggi di Calvino e che sono quelli più nascosti della società,le persone che sono in difficoltà ma non così tanto da essere conosciuti,sono dei personaggi che si trovano coinvolti in vite sociali difficili e la loro vita sembra cadere sempre più in basso grazie ad un evento appena successo.
I personaggi di Calvino sono contrari ai cambiamenti ogni cambiamento cambia la loro routine e sconvolge la loro vita,come ad esempio gli occhiali o l’incontro della ragazza celeste cielo.
Nei testi di Calvino compaiono domande che si pone il protagonista a sè stesso ed è così che spesso Calvino riesce a far emergere la loro personalità.
L’autore indagando sul protagonista ci lancia degli spunti sulla nostra vita e sulla nostra società.
Entrando nel dettaglio sul tema “L’avventura di un miope”,la trama e molto semplice e racconta di una persona che non emerge ,che non si distingue dalla massa.
Tutto ciò che fa il protagonista è motivato ad esmpio mette gli occhiali per essere al centro dell’argomento.
Gli occhiali sono una metafora che gli permette di osservare i suoi errori commessi ,come quando vede la ragazza che gli passa davanti e rivive tutte le sue relazioni che ha avuto.
Con gli occhiali la persona è come se avesse due personalità:quando lui riesce a distinguere la massa gli altri non lo identificano tra la massa ,mentre lui quando non riesce a distinguerli gli altri riescono.
Quindi secondo me è una maschera che non ti aiuta ma ti pone dubbi e perplessità. E’ un cambiamento che il protagonista non riesce accettare e nell’ indecisione
decide di fare tutte e due le cose,li mette e li toglie.
Li mette per colmare la sua curiosità e li toglie per essere riconosciuto.
Una metafora che mi ha colpito è stata ,la metafora della stella.
Che era l’unica cosa che con o senza occhiali si vedeva sfuocata.
Questo testo mi ha colpito molto perchè adoro il modo in cui scrive Calvino perchè dal banale riesce a far emergere pensieri e riflessioni che in quella situazione non si sarebbero mai pensati.
L’ultima cosa che mi è piaciuta è stata la descrizione dei cambiamenti e pensieri del protagonista.
• Cosa pensano le persone di me…
Basta cambiare qualsiasi cosa perché le persone ti guardino diversamente da come sei: una maglietta, un paio di occhiali, il taglio di capelli … anche un minuscolo particolare ci può far sentire diversi .
Le persone, infatti, la prima cosa che fanno quando incontrano qualcuno è osservarla superficialmente dal fisico ai vestiti, per poi cambiare idea quando la conoscono meglio, ma non sempre accade così: un esempio sono le perone anziane, in particolare le vecchiette che non sapendo cosa fare durante la giornata si siedono in balcone ad osservare i passanti, per poi sparlarne con le loro amiche.
Mia nonna è una di queste persone, che quando mi vede truccata o con una maglia un po’ scollata inizia a farmi la predica ricordandomi che le persone guardandomi potrebbero pensare male di me, lei, infatti, è una signora abbastanza all’antica che tende molto a guardare queste cose e che come è alla fine una persona dentro non le interessa niente, l’importante secondo lei è l’aspetto e chi sei in società.
Questo però peggiora quando vado a casa sua nella nostra casa in montagna, in un paesino sperduto chiamato Viticuso, dove, gli abitanti sono pochi e per questo conoscono tutti e tutto.
Quando vado là, infatti, appena arrivata mia nonna ancora prima di salutarmi inizia a farmi la lista di tutto quello che posso e non posso fare per paura di compromettere la mia figura in paese, sembra sempre di essere sopra un palco nel quale devo recitare una ragazza diversa da me, dove, gli spettatori sono delle signore anziane che quando ti osservano, ti mettono a disagio.
Ogni anno quindi, quando vado là mi sembra di diventare un’altra Giorgia, una Giorgia diversa che non si trucca, si veste sempre elegante e che esce solo con chi decide la propria nonna, solo perché gli altri non possano dire niente.
Ma è stancante e snervante una vita così perché ci rende prigionieri della propria ed è per questo che da due anni tento di migliorare le mie giornate a Viticuso, anche se questo, significata farsi criticare, ma non mi interessa perché quello che conta, secondo me, è far felici prima se stessi e poi quando tutto nella vita va bene si può rendere felici anche gli altri.
Aprile 2009, 5° elementare, allora ero ancora una bambina e non sapevo cosa volesse dire veramente l’amicizia o l’essere bugiardi, facevo solamente quello che io ritenevo giusto, in qualsiasi situazione io mi trovassi.
Era un giorno come tanti, ma con qualcosa di diverso, infatti ci trovavamo a fare una verifica di matematica io e i miei 23 compagni ognuno con addosso il suo grembiule verde, a tinta unita per i maschi e a righe con varie tonalità di verde per le femmine. Eravamo in quinta, allora la verifica ci pareva difficile, ma se ci penso ora, la ritengo una vera e propria sciocchezza.
La maestra che passava tra i banchi non vedeva altro che 24 punti colorati con la testa chinata sul banco per andare avanti con il compito; allora non si conosceva ancora il termine copiare e in classe c’era il silenzio totale, nessuno parlava, nessuno guardava il foglio dell’altro, ognuno si concentrava sul proprio e si faceva gli affari suoi.
Faceva caldo, molto caldo, me lo ricordo perché ad un certo punto tutti accaldati e sudati chiedemmo alla maestra se potevamo toglierci i grembiuli, quei grembiuli tutti uguali che non mostravano agli altri, secondo me, come eravamo noi, attraverso i nostri vestiti, i pantaloni, le magliette colorate e divertenti, ognuna diversa dall’altra, ognuna con una sua identità.
Un sole che spaccava le pietre, che illuminava i nostri fogli attraversando la finestra, un sole caldo, molto caldo che sprizzava gioia.
Il tempo stava per finire e qualcuno aveva già consegnato, io non facevo parte di quel gruppo, mi serviva altro tempo. Avevo quasi finito mi mancava l’ultimo problema, forse il più difficile, ma ce la dovevo fare, il tempo stava per scadere, mancavano pochi minuti. Consegnai, ma non ritornai al posto come tutti gli altri, la maestra mi chiese di ritirare i compiti e così feci. Quando i miei compagni mi videro passare si misero subito a scrivere le ultime cose, giuste o sbagliate che fossero, dovevano solo finire. Feci il giro dei banchi e presi tutte le verifiche senza incontrare qualcuno che non me la volesse dare, mancava solo Elisa una ragazzina cicciotta dalle guance paffute che pareva a tutti ingenua e angelica, ma non era così era cattiva, per quanto ricordassi io, mi faceva sempre scherzi e non mi tollerava come io non tolleravo lei, insomma, non avevamo buoni rapporti. Arrivai davanti a lei e le chiesi di darmi la verifica, che il tempo era scaduto, lamentandosi un po’ me la diede e io successivamente le consegnai alla maestra. Non feci in tempo ad appoggiarle sulla cattedra che Elisa mi arrivò addosso strappandomi dalle mani la sua verifica, perché si era accorta che degli esercizi erano sbagliati e li voleva correggere. Io seguii il mio istinto, feci quello che ritenevo giusto, andai da lei e mi ripresi la verifica dicendole che non era giusto nei confronti degli altri rifare i problemi. Il tutto si svolse in fretta senza ne ma e perché. Mi sentivo fiera di quello che avevo fatto, non mi sentivo per niente in colpa, perché mai avrebbe dovuto barare? Ero una bambina, non lo capivo ancora. Uscii da scuola e entusiasta del mio gesto lo raccontai a mia madre che mi disse che avevo fatto la cosa giusta, quando, fui interrotta da una voce adulta, una voce che non mi era familiare, la voce della madre di Elisa che arrabbiata, mi era venuta a parlare. “Non sei stata leale e onesta Margherita, dovevi lasciare finire Elisa, ora che voto prenderà per colpa tua?”. Sentendo solamente quelle parole, il mio cuore iniziò ad andare in fibrillazione dalla paura, non sapevo cosa dire, avevo le lacrime agli occhi, le uniche parole che mi uscirono furono:”Non poteva barare, il tempo era finito”.
Elisa da quel giorno mi guardò in un modo diverso da come mi guardava i giorni prima dell’accaduto, sembrava avesse tutto contro di me, non poteva neanche guardarmi, mi fulminava con lo sguardo. Cosa avevo mai fatto di così tanto grave da non rivolgermi la parola per un mese? Non lo capivo e neanche oggi lo capisco tanto bene.
vi è mai capitato di essere “visti” in un modo diverso da come voi pensate di essere? Vi è mai capitato di “indossare una maschera” con la quale mostrarvi agli altri, pur sapendo che si trattava solo di qualcosa di aggiunto, non proprio vostro?
La risposta è si, si c’è stato un momento in cui sono stata vista diversa.
Ero al saggio di canto, circondata da ragazzi e ragazze molto più grandi di me, intorno ai vent’anni che mi squadravano curiosi di cosa avrei cantato, ma più che altro per sapere se ero brava o no, in un certo senso mi consideravano debole, forse per la mia età.
Il tempo passava, i cantanti prima di me cantavano canzoni difficilissime che nemmeno io sarei riuscita a cantare, cominciavo a sottovalutarmi, c’è stato un momento in cui non volevo neanche più salire sul palco perchè i ragazzi mi guardavano con occhio di sfida e palottavano tra loro a bassa voce convinti che non li sentissi.
Ma la mia insegnante quando mi vide così mi incoraggiò a salire sul palco e a dare il meglio di me.
Non ero convinta, stavo cominciando a credere ai vocii che si sentivano nella saletta d’attesa.
Forse non sono così brava. Non dovrei salire su quel palco a rendermi ridicola.
Queste erano le parole che mi continuavo a ripetere mentre il momento da tutti atteso si stava avvicinando.
Il presentatore mi chiamò sul palco, il grido inconfondibile di mia madre accompagnava l’applauso ordinato del pubblico.
Quando uscii tutti i ragazzi dietro di me si accalcarono dietro la porta per vedere la mia esibizione.
Non ero per niente tranquilla, avevo paura di stonare, sbagliare ogni cosa, il mio cuore batteva fortissimo, più di una batteria, avevo paura che anche la gente in prima fila lo sentisse da quanto batteva forte.
La base partì, “aiuto, aiuto, aiuto.” Ripetevo tra me e me.
Presi l’attacco e cominciai a cantare, ad un certo punto partì la parte “speciale” cioè la parte più difficile, dove dovevo fare un acuto pazzesco di cui non ero molto convinta.
Mi girai verso la porta dove i ragazzi di prima erano concentrati a fissarmi a bocca aperta, mi diedi forza e feci l’acuto.
Finita l’esibizione la mia uscita fù accompagnata dal grido di tutta la mia famiglia e anche il pubblico che prima mi aveva accolto con un applauso scadente, applaudì calorosamente.
Arrivata alla saletta tutti i ragazzi mi guardarono a bocca spalancata, mentre io avevo un sorriso a trentadue denti.
Non m’importava dell’esibizione ma più che altro di aver dimostrato a quei ragazzi chi sono davvero.