Il software si chiama Rapid FTR. L’ha sviluppato Jorge Just, ex studente della New York University e ora volontario dell’Unicef. Si tratta di un programma semplice e rapido, affidato alla gestione dei cooperanti nei campi-rifugiati, in grado di riunire in poco tempo i piccoli ai propri cari. Via smartphone.

Ci vogliono da sei settimane a poche ore per ritrovare la propria famiglia. Poter riabbracciare prima possibile i propri cari, evitando giorni di separazione che si aggiungono ai già terribili shock del fuoco e del sangue, è qualcosa che fa la differenza, soprattutto quando si è bambini vittime di un conflitto o rifugiati in un campo profughi, come nel caso di Rosete, Birungiste e Samuel, tre dei piccoli congolesi arrivati soli e senza documenti al Bubukwanga Transit Centre di Bundibugyo, in Uganda.

Laggiù, in quel campo-profughi dimenticato dal mondo come tanti altri a ogni latitudine, approdano ogni giorno bambini e giovani separati dalle proprie famiglie a causa dei combattimenti fra truppe governative della Repubblica Democratica del Congo e ribelli. Non è ovviamente l’unico caso: in tutti i punti caldi del pianeta sorgono enormi accampamenti e siti dove rifugiati e profughi provenienti dai più diversi Paesi, dal Sudan alla Palestina, dal Ruanda al Kenya passando per l’Etiopia, cercano di sfuggire a guerre e persecuzioni.

Adesso una semplice app, battezzata RapidFTR, promette di cambiare le cose. Almeno un po’.

La storia di Jorge Just, un ex studente e oggi docente del corso intitolato Design for Unicef alla Tisch School for the arts della New York University, ci fa capire come si possa dare una mano a sciogliere un problema: quello dei minori rimasti momentaneamente orfani. Ed è questa una di quelle situazioni in cui un po’ di tecnologia può fare davvero la differenza.

Cinque viaggi in Uganda sono bastati a Just, che dal 2010 lavora per l’Unicef e coordina lo sviluppo del suo progetto, per capire come il sistema per riunire i bambini non accompagnati alle loro famiglie fosse fuori dal tempo: un lavoro basato ancora su foto appese ai muri, moduli cartacei inseriti solo dopo mesi in pachidermici e inutili database e tanta, davvero troppa fortuna. “Prima di RapidFTR dovevamo utilizzare carta e penna e compilare un sacco di schede ed era un’operazione che portava via un sacco di tempo. Dopo la scheda, infatti, si andava in giro per il campo con una lista di nomi, domandando alle persone se conoscessero i bambini”, racconta una volontaria del campo profughi.

È impossibile gestire una mole simile di lavoro in questo modo: “Un bambino può essere in un punto del campo-rifugiati e i suoi genitori dall’altra parte” – racconta Just – “e anche con tutta la buona volontà, l’effetto è come se si trovassero in due diversi continenti”. Anche le piccole distanze, in situazioni del genere, possono apparire insormontabili.

Ecco perché oltre tre anni fa, dopo essersi reso conto della situazione e aver partorito invenzioni promettenti ma troppo stravaganti per trovare spazio nel dramma, ha iniziato a lavorare a RapidFTR, sigla che sta per Rapid Family Tracing and Reunification App[1]. L’applicazione ha già iniziato a funzionare proprio in Uganda. Si tratta di un programmino non particolarmente complesso, a ben vedere.

Il funzionamento di RapidFTR è abbastanza semplice: l’app è in grado di censire ogni singolo bambino, e dunque di avviare in tempi rapidissimi il processo di ricongiungimento, in base a poche informazioni condivise con tutti gli operatori del campo. Se i piccoli non possono fornire il proprio nome completo, o sono troppo spaventati, basta una foto scattata dai volontari per dare inizio al percorso e riannodare il filo con papà, mamma, uno zio o un parente. Non serve per forza la connessione wireless: l’applicazione è in grado di memorizzare i dati acquisiti sul campo e sincronizzarsi al server appena si aggancia alla Rete. Impiegata in Sud Sudan, è già stata utilizzata al Nyakabade Transit Center e al campo per rifugiati Rwamwanja, entrambi in Uganda, restituendo almeno settanta bambini all’affetto dei propri genitori.

Anche se è una delle più avanzate, e già in fase operativa, RapidFTR non è la sola novità sbocciata in questi anni dal think-tank newyorkese. Appena un paio di settimane fa l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha consegnato un assegno da 50mila dollari a tre applicazioni sfornate dai nuovi studenti del corso. Un dispositivo per estrarre energia dalle batterie delle auto, una rete per inviare messaggi quando le reti mobili sono fuori uso e un sistema per consegnare medicine e altri generi di prima necessità in caso di disastri tramite dei piccoli droni. La catena dell’innovazione umanitaria continua a dare buoni frutti.

 

Testo adattato tratto da: http://www.repubblica.it

 


[1] Applicazione per rintracciare rapidamente la famiglia e consentire il ricongiungimento.

5 Commenti a “Una “app” per riunire i bambini e le famiglie!”

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